Il 28 aprile si celebrerà la Giornata Mondiale della Salute e della Sicurezza sul Lavoro: per prepararsi a tale ricorrenza la master coach Marina Osnaghi ha deciso di condividere dieci consigli per “sopravvivere” in contesti lavorativi in cui ritmi serrati e stress sono spesso causa di effetti deleteri per la salute di mente e corpo.
“La soluzione è trovare spazi di decompressione, cercando di non farsi travolgere dal caos e sospendendo le attività in caso di necessità” ha spiegato la coach. “La realtà del lavoro è cambiata: oggi il modo di giudicare una buona performance non è uguale a ieri, poiché si lavora per obiettivi con azioni fulminee, decisioni veloci veicolate con poche informazioni, che però devono essere efficaci e ponderate. Anche le aspettative elevate e la paura dell’intelligenza artificiale che sostituisce l’operato dell’uomo, rendendolo fragile e spaventato, sono due fattori da non sottovalutare perché il lavoratore si sente improvvisamente obsoleto. I contesti ‘centrifuga’ fanno parte ormai della nostra realtà quotidiana e provocano una pressione continua, di cui è difficile liberarsi”.
In un mondo lavorativo volatile, che segue regole obsolete, tutto è non determinabile e frenetico: i ritmi di lavoro sono prolungati, l’ansia di sovrastare i colleghi prende il sopravvento e l’incapacità di superare feedback negativi agisce sull’idea di carriera, che si frantuma insieme alle elevate aspettative. Per cercare di “non perdere la testa”, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) ha istituito la Giornata Mondiale per la Salute e la Sicurezza sul Lavoro, per ricordare di ridimensionare gli impegni e salvaguardare se stessi.
Quante sono dunque le ore che il lavoratore può sopportare senza pagarne le conseguenze? Secondo lo studio dell’Australian National University Research School of Population Health pubblicato sul Time, la soglia massima è di 39 ore settimanali, oltre la quale potrebbero sorgere i primi problemi. Ma come affrontare al meglio i ritmi frenetici senza farsi travolgere? “Il nostro migliore amico siamo noi: possiamo diventare flessibili, cambiare idee e il nostro modo di vivere per diventare bravi a orientarci nella confusione” ha dichiarato Marina Osnaghi. “In un’epoca in cui si parla di ‘Great Place to Work’ e di welfare aziendale, il lavoratore si trova spesso inserito in contesti tutt’altro che ottimali, con ritmi di lavoro prolungati e a volte indifferenziati tra giorno, sera e week-end, permeati dall’ansia di primeggiare e dover tenere a bada la frustrazione di conflitti e giudizi negativi, caratteristici di una cultura che non conosce le regole di base dei feedback. Dunque cosa fare per ritrovare la normalità? La soluzione è trovare spazi di decompressione, iniziando dalle piccole cose come smettere di mangiare di fronte al PC o non pranzare affatto, per arrivare alle grandi e complesse, come cambiare prospettiva mentale, imparare a convivere con la pressione dei nostri tempi ed essere in grado di commutare la velocità e il caos da anomalia a normalità”.
Per raggiungere questi risultati la master coach ha individuato dieci regole che ciascun lavoratore può seguire per orientare il proprio cambiamento:
- sospendere le attività, evitando di lavorare al PC nei 90 minuti che precedono il momento di andare a dormire;
- liberare la mente, ritagliando momenti in cui lasciar spazio a nuove idee;
- vivere la propria creatività, in cui risiede la più grande fonte di soddisfazione personale, ritagliando del tempo per fare qualcosa che ci piace;
- fermarsi e cercare di eliminare la tensione ogni volta che si percepisce uno stato di stress, panico, paura o preoccupazione;
- gestire in maniera differenziata lavoro e riposo, pianificando anche i tempi di inattività;
- utilizzare il feedback di riconoscimento, concentrandosi quindi sul positivo e utilizzando il problema per migliorare;
- focalizzarsi sulla soluzione, individuando la cosa migliore da fare;
- semplificare;
- essere consapevoli del fatto che se c’è un’aspettativa c’è anche il rischio di disattenderla, quindi successo e fallimento vanno accettati come parte dell’esistenza;
- trasformare la prospettiva del problema in gestione dei limiti personali e degli altri; la realtà è fatta di limiti e opportunità, che vanno gestiti in contemporanea senza perdere di vista le possibilità di soluzione.
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