Con l’avvicinarsi della giornata internazionale della donna, i riflettori tornano a essere puntati sulla parità di genere e sull’impegno dimostrato dalle aziende nel tutelare diversità e inclusione negli ambienti di lavoro.
Proprio stamattina un’immagine su LinkedIn ha colpito la mia attenzione: vi campeggiava la scritta “Io l’8 tutto l’anno“. Uno slogan significativo per almeno due motivi: il primo è che ci ricorda che il tema della diversity non può essere oggetto di attenzione intermittente; il secondo è che esprime la condizione di molte donne in Italia, che ancora oggi devono battersi per ottenere riconoscimenti sul lavoro e raggiungere posizioni apicali nelle organizzazioni.
Benché l’ultimo report pubblicato da Grant Thornton International, l’International Business Report (IBR) – Women in Business 2020, abbia registrato un aumento del 4% nel numero di donne che attualmente ricopre una posizione di leadership (28%), e malgrado sia stato rilevato in più di un’occasione che i team dirigenziali più variegati registrino performance finanziarie migliori, la strada per la parità di genere è ancora lunga.
In sostanza, quando si tratta di diversity le aziende sembrano viaggiare con il freno a mano tirato: se da un lato si fa un gran parlare di diversità e inclusione, si nominano diversity officer e si introducono diversity quota, dall’altro si fa fatica a mettere in pratica delle azioni in linea con le intenzioni professate.
Che cosa ostacola la D&I in azienda
Facciamo qualche esempio per chiarire la questione: se le iniziative realizzate da un’azienda in materia di diversity & inclusion veicolano, anche involontariamente, l’idea che un determinato gruppo di persone debba ricevere un “trattamento speciale”, il cammino verso la gender equality risulterà sempre parecchio accidentato. In un simile contesto, le donne potrebbero pensare di aver ricevuto una determinata nomina esecutiva solo per soddisfare la necessità di una presenza femminile in un determinato ufficio, e non per il valore aggiunto che apportano – un semplice segno di spunta, insomma, su un’importante casella aziendale.
Allo stesso modo, per affermare davvero il rispetto della diversità all’interno di un’organizzazione, non si può pensare che un simile percorso di trasformazione culturale possa essere demandato al solo chief diversity officer: c-levels e management devono essere altrettanto motivati e coinvolti per fare della diversità una priorità e innescare un cambiamento reale.
Diversity & inclusion in azienda: da dove partire
Una volta individuati gli aspetti che rallentano e limitano la capacità delle aziende di adottare una cultura orientata alla diversità e all’inclusione, Cornerstone OnDemand suggerisce di ripartire da questi tre step:
- esaminare i processi interni per capire se effettivamente sono in grado di favorire una cultura di equità e uguaglianza. Devono essere stabilite regole uguali per tutti, che garantiscano a ogni lavoratore un trattamento equo e la possibilità di disporre degli strumenti necessari alla piena gestione della propria crescita personale e professionale;
- analizzare le attività di ricerca e selezione, con un focus particolare sul modo in cui vengono presentate le offerte e descritte le mansioni, e sui canali utilizzati per diffondere gli annunci relativi a posizioni dirigenziali aperte;
- dimostrare nei fatti di essere pronti ad ascoltare e rispondere alle persone in azienda, invitando i collaboratori a esprimere le proprie opinioni e a condividere i propri pensieri, a porre senza timori anche domande difficili o delicate. All’inizio potrebbero essere titubanti, ma esistono molti modi per garantire l’anonimato in queste discussioni, non da ultimo con l’ausilio di piattaforme o app esterne.
«Per incentivare queste dinamiche, le aziende dovrebbero offrire a tutti i livelli un’adeguata formazione, che non si limiti a stabilire cosa si può o non si può fare o dire sul posto di lavoro, ma che vada oltre. L’obiettivo deve essere quello di sensibilizzare tutti i collaboratori sui motivi per cui un dato comportamento non è accettabile, e aiutarli a guardare le cose da un’altra prospettiva» ha commentato Alexandra Anders, Senior Director of Talent EMEA di Cornerstone. «A beneficiarne sarà l’intera azienda, perché si eviterà di ripetere e condividere sempre e solo gli stessi pensieri e le stesse idee, ma si potrà contare su nuovi punti di vista e suggerimenti».
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