Da mesi ormai si dibatte sull’avanzata tanto massiccia quanto repentina della digitalizzazione in ambito HR. Un’evoluzione esponenziale resa possibile dallo sviluppo tecnologico ma anche dalla necessità di fronteggiare imprevisti e riorganizzare di conseguenza – e in tempi brevi – il people management.
Tra le attività HR interessate dalla trasformazione ci sono i processi di ricerca e selezione, che hanno la possibilità di cambiare volto e portata attraverso l’adozione di strumenti e strategie basate sul digitale.
La questione centrale resta una: sappiamo che cosa fa la differenza nei processi di recruiting fisici, digitali o social?
Il nuovo mondo del digital recruiting
Parlare oggi di digital recruiting significa analizzare e riflettere su una pratica dai tratti ormai familiari tanto per le aziende quanto per i candidati. Si tratta, in fin dei conti, dell’evoluzione più lineare dei tradizionali modelli di ricerca e selezione del personale, frutto della diffusione delle candidature online e della creazione di siti internet dedicati alla pubblicazione di annunci di lavoro, cui si affiancano oggi strumenti e applicazioni per l’automazione delle prime fasi di screening, scoring e matching tra profili e posizioni aperte, ma anche per lo svolgimento di colloqui online, in diretta o in differita.
All’interno di questo universo digital si colloca il territorio del social recruiting, che almeno sulla carta ha tutte le caratteristiche giuste per cambiare le regole del gioco di ricerca e selezione, mettendo al centro delle attività e delle strategie le persone e le relazioni.
Che cos’è il social recruiting
Con l’espressione social recruiting si indica l’utilizzo dei canali social (LinkedIn in particolare, ma anche Facebook e Twitter) per trovare, coinvolgere e costruire relazioni con potenziali candidati, attivi e/o passivi.
I tratti distintivi del social recruiting sono l’interattività (i recruiter devono non solo parlare ai candidati, ma anche ascoltarli), l’attenzione alla digital reputation (del candidato ma anche dell’azienda) e il passaggio da una dinamica passiva (del tipo: posizione aperta – richiesta di profili – raccolta CV – valutazione dei candidati) a una dinamica attiva/proattiva nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Senza capitale relazionale il (social) recruiting non s’ha da fare
L’elemento chiave del social recruiting (e non solo), quello che ne garantisce l’efficacia e ne rispetta l’essenza, è il capitale relazionale che aziende, recruiter e candidati sanno costruire e coltivare nel tempo attraverso i social network utilizzati.
Proprio il fattore temporale è una delle discriminanti in questa nuova modalità di interazione tra aziende e candidati, benché spesso l’attenzione si concentri solo sulla possibilità offerta in termini di ampliamento dei confini geografici, evidenziando come il social e il digital recruiting permettano di raggiungere talenti in ogni parte del mondo.
Se focalizziamo invece l’attenzione sulla realizzazione di un solido network professionale e sul consolidamento della digital reputation da parte di tutti gli attori in gioco, il social recruiting si connota soprattutto come attività che richiede tempo e costanza: non è solo questione di connettersi ma di entrare in relazione con le persone, scambiare contenuti di valore, confrontarsi e dialogare, interagire in modo umano puntando su senso di responsabilità, trasparenza, coerenza e autenticità.
3 consigli per gli aspiranti social recruiter
Quando il processo di ricerca e selezione si sposta sui social network e assume i connotati nuovi che abbiamo rapidamente tratteggiato, anche i recruiter devono modificare il modo in cui hanno sempre svolto il loro lavoro. Per iniziare a cambiare approccio si può partire da 3 considerazioni:
- il social recruiting è questione di relazioni coltivate nel tempo. I candidati (attivi e passivi) vanno ascoltati e coinvolti sempre, non solo quando l’interazione risulta funzionale a una possibile assunzione;
- benché sui social network si utilizzi uno stile più informale e spontaneo, la professionalità e la qualità dei contenuti proposti non può mai passare in secondo piano;
- la stesura di un’offerta di lavoro è un atto comunicativo che mette in evidenza non solo le competenze e il profilo ricercato, ma anche i valori e la brand identity. Lo storytelling fa la sua parte, e deve essere interessante, coinvolgente e attrattivo.
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