Flex economy, cresce il lavoro extra-urbano

flex economy reportDalle principali città metropolitane alle aree extra-urbane e città di provincia: il lavoro si sposta, e lo fa grazie alla crescente diffusione di luoghi e spazi di lavoro flessibili, dando vita a quella che è stata ribattezzata flex economy. Questo fenomeno – che nei prossimi 10 anni potrebbe contribuire per oltre 254 miliardi di dollari alle economie locali – è stato studiato per la prima volta attraverso un’analisi commissionata da Regus, che ha preso in esame 19 Paesi – tra cui l’Italia – valutando l’impatto economico e sociale dell’economia flessibile nelle aree suburbane.

Lo studio mette in evidenza uno spostamento dei posti di lavoro e della crescita del capitale dal centro delle città – dove si è concentrato negli ultimi decenni – verso la periferia, con vantaggi per le imprese e per le persone, che vanno dal miglioramento della produttività alla riduzione dei tempi di spostamento, a beneficio di salute e benessere” ha spiegato Steve Lucas di Development Economics, autore del rapporto.

Nei 19 Paesi analizzati, l’inaugurazione di uno spazio di lavoro flessibile porta mediamente allo sviluppo di 218 posti di lavoro (200 in Italia). Una cifra che comprende i lavori temporanei della fase di allestimento, i ruoli permanenti legati alla gestione del centro e i posti di lavoro legati all’occupazione dello spazio da parte delle diverse aziende. Oltre alla creazione di posti di lavoro, i benefici si traducono anche in un aumento del valore aggiunto lordo (VAL), la misura del valore di beni e servizi prodotti in un’area. Si stima che uno spazio di lavoro flessibile medio generi 16,47 milioni di dollari ogni anno, con un’iniezione media di 9,63 milioni di dollari a livello di economia locale (legati in parte alle necessità di aziende e dipendenti, in parte alle migliori possibilità di carriera e guadagno per residenti e aziende dell’area). In Italia i valori si attestano su livelli grossomodo in linea con la media, pari a 15,23 milioni di dollari per anno, di cui 8,24 milioni “trattenuti” a livello locale.

Oltre all’impatto finanziario diretto, gli spazi di lavoro flessibile generano anche benefici sociali, sia per i lavoratori sia per la regione che li ospita. Tra questi c’è la riduzione del tempo dedicato agli spostamenti, con 7.416 ore di pendolarismo mediamente risparmiate all’anno. In Italia la cifra si attesta a 6.735 ore. Un ufficio ubicato in un’area facile da raggiungere, inoltre, offre opportunità occupazionali anche a chi altrimenti avrebbe difficoltà o non sarebbe in grado di recarsi in un ufficio – si pensi per esempio a persone diversamente abili o a chi ha responsabilità di assistenza.

Quando i professionisti si spostano verso le città più grandi, il loro potere di spesa si sposta insieme a loro: questo studio dimostra che dare la possibilità di lavorare vicino a casa può avere un effetto enorme, non solo sulle persone ma anche sull’area in cui vivono” ha commentato Mark Dixon, CEO di Regus – gruppo IWG. “Stiamo assistendo a un aumento della domanda da parte di aziende di ogni dimensione per spazi di lavoro flessibili anche nelle città più piccole. Le aziende più grandi stanno infatti optando per un modello ‘hub and spoke‘, mentre le piccole imprese vogliono fare networking e scelgono quindi gli spazi di lavoro flessibili per essere vicine alle altre aziende“.

Oltre a valutare l’impatto dei singoli spazi, lo studio ha anche esaminato il potenziale da qui a 10 anni per ciascun mercato, tenendo conto degli attuali trend di sviluppo degli spazi di lavoro flessibile, dei cambiamenti demografici, tecnologici e nelle pratiche aziendali. Si stima che la flex economy possa generare 3 milioni di posti di lavoro, con un’iniezione di valore aggiunto lordo a livello locale pari a 254 miliardi di dollari. Per l’Italia, la previsione è di oltre 110.000 persone impiegate negli spazi di lavoro flessibile locali, con un valore aggiunto lordo per anno stimato in 8.678 miliardi di dollari, di cui circa 4.512 “trattenuti” dalle economie periferiche.

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