Gerarchia addio: i nuovi modelli AEquacy e Holacracy a confronto

Sono principalmente due le immagini che possono essere utilizzate per descrivere il funzionamento di un’azienda: quella della macchina e quella dell’organismo vivente. Adottare l’una o l’altra prospettiva implica ovviamente essere guidati da differenti visioni e interpretazioni dell’essenza e della natura delle realtà aziendali, nonché dell’importanza e del ruolo delle persone che operano al loro interno.

Come è facile intuire, le aziende-macchina risultano animate dal desiderio di prevedere e controllare ogni processo o azione messi in atto per raggiungere gli obiettivi, e le persone incaricate di occuparsi della loro attuazione sono in fondo considerate ingranaggi da mantenere il più possibile oliati ed efficienti, nonché al sicuro da imprevisti o deviazioni dall’ordine prestabilito. Basta tuttavia porre attenzione ai cambiamenti che si stanno manifestando all’interno del panorama culturale e organizzativo delle aziende di ogni settore per rendersi conto di come questa visione sia ormai non solo obsoleta, ma anche molto costosa.

Diversa è la situazione nel caso in cui si decida di cambiare prospettiva, individuando nell’impresa un organismo vivente animato da un proprio obiettivo e capace di interagire e rispondere agli stimoli e ai cambiamenti dell’ambiente esterno, garantendo attenzione e importanza agli individui che vi operano, alle relazioni che li connettono e al contributo originale che ciascuno può portare per il raggiungimento del proposito evolutivo aziendale.

Questa è la convinzione su cui Fréderic Laloux ha basato il proprio modello di azienda teal, presentato nel libro Reinventare le organizzazioni, che consiste appunto nella gestione dell’azienda come organismo vivente dotato dell’innata capacità di percepire la realtà in cui opera e di adattarvisi, senza avere necessariamente bisogno di un management incaricato di prescrivere e pianificare il cambiamento.

Trasparenza e responsabilità diffusa: AEquacy vs Holacracy

Il modello organizzativo che per primo si è proposto come strumento per promuovere un simile cambiamento è Holacracy, ideato dallo sviluppatore di software Brian Robertson: si tratta di un sistema peer-to-peer che elimina la gerarchia di gestione top-down e punta ad aumentare trasparenza, responsabilità e agilità organizzativa.

Il 2018, tuttavia, ha visto nascere AEquacy, altro sistema organizzativo egualitario focalizzato sulla valorizzazione del potenziale umanoFoto Giovanna D'Alessio interno all’azienda, nato dall’attività di indagine e ricerca qualitativa e quantitativa svolta da Giovanna D’Alessio e Stefano Petti, partner Asterys, e descritto dettagliatamente nel libro Aequacy. Il nuovo design organizzativo centrato sull’uomo per prosperare in un mondo complesso.

Per conoscere meglio AEquacy e gli aspetti che lo distinguono da Holacracy abbiamo quindi deciso di affidarci a Giovanna D’Alessio e alla sua conoscenza di entrambi i modelli in questione.

L’impressione che ho avuto, assolutamente personale, approfondendo la conoscenza dei processi che strutturano Holacracy” ha esordito Giovanna D’Alessioè che l’attenzione ruoti tutta attorno alle procedure e alla loro corretta applicazione, più che essere rivolta alle opinioni o alle emozioni delle persone chiamate a ricoprire ruoli ben precisi e definiti. Per quanto mi riguarda si percepisce chiaramente come l’impostazione di pensiero dell’ideatore Brian Robertson sia ancora fortemente orientata a considerare l’organizzazione come una macchina. Sostanzialmente questo modello riorganizza l’azienda in team operativi chiamati cerchi, strutturati al loro interno secondo un sistema di relazioni orizzontali controllate attraverso un set di regole di processo codificate e ripetibili. Questi cerchi sono a loro volta suddivisi in sotto-cerchi che concorrono alla realizzazione dell’obiettivo del cerchio più grande cui appartengono. Per coordinare le varie attività sono previsti governance meeting e tactical meeting, regolati da una procedura che consiste in cinque domande-chiave per stabilire se un’eventuale obiezione mossa da uno dei partecipanti sia valida oppure no. La prima delle mie perplessità riguardo a Holacracy è appunto legata a questa focalizzazione sul bloccare un’obiezione se non rispondente ai criteri prestabiliti, che a mio avviso limita il confronto e la possibilità di partecipazione e coinvolgimento di tutti nella definizione dei processi e degli obiettivi dell’organizzazione. Dal mio punto di vista, inoltre, all’interno di Holacracy viene comunque a ripresentarsi l’elemento gerarchico, che si manifesta per esempio nella possibilità riconosciuta ai super-cerchi di definire gli obiettivi, le accountability e le metriche dei nuovi team creati, chiamati ‘sub-circle’, e la presenza di subordinazione, in quanto Holacracy prevede che in ogni cerchio sia presente un ruolo, il ‘lead link’ che ha il potere di definire strategie, priorità e di assegnare ruoli. Non è il leader del cerchio, ma poco ci manca. Infine, l’elemento gerarchico emerge anche nei meccanismi di adozione e applicazione del nuovo modello organizzativo, che partono dalla decisione del CEO e discendono a cascata su tutti gli altri membri e aree dell’azienda, senza che siano coinvolti nella decisione”.

Queste, in generale, le caratteristiche di Holacracy ritenute limitanti, e dalle quali AEquacy si discosta proponendo un modello caratterizzato da una struttura radiale di team auto-organizzati e coordinati, che espande il potenziale individuale, di team e organizzativo. “Negli ultimi trent’anni le grandi organizzazioni hanno affrontato sfide sempre più complesse; abbiamo ascoltato molti leader aziendali condividere le loro preoccupazioni su temi che ostacolano la performance organizzativa, la responsabilità e l’impegno dei loro dipendenti. Questi problemi sono più comuni di quanto si possa credere e nell’identificarne le principali cause abbiamo rilevato come le strutture e i sistemi gerarchici generino e rafforzino proprio quei comportamenti che l’organizzazione desidera smantellare. Gli elementi cardine su cui si fonda AEquacy sono quattro: il primo è la creazione di un contesto abilitante, che comprende una struttura di team auto-organizzati e autonomi, un sistema di coordinamento basato su rapporti paritari, autorità distribuita e responsabilità finanziaria estesa; il secondo è lo sviluppo di valori essenziali come la fiducia reciproca, il senso di responsabilità, lo spirito di collaborazione e l’attitudine al miglioramento costante; il terzo è l’implementazione di sistemi smart per eliminare la burocrazia, promuovere decisioni basate sull’assenso, cicli di feedback tra pari e circolazione libera delle informazioni; il quarto, infine, è lo sviluppo di una padronanza personale e di team. Siamo sempre molto attenti, inoltre, affinché l’adozione di AEquacy sia una decisione condivisa da tutti gli attori coinvolti: partiamo quindi da gruppi di lavoro che decidono spontaneamente di prendere parte al progetto, lavorando con ciascuno dei membri per rendere il nostro modello rispondente alle esigenze di crescita e rinnovamento specifiche di ciascuna azienda. Questa attenzione alla dimensione valoriale e culturale, sia a livello individuale che aziendale, è il tratto distintivo del nostro approccio”.

Il desiderio di rinnovamento organizzativo si diffonde

Come accennato, l’ideazione di AEquacy si basa su un articolato percorso di studio e ricerca quali-quantitativa. Nel 2016 Deloitte ha rilevato attraverso la ricerca “The New Organization: Different by Design” che l’82% delle grandi aziende ha intrapreso un percorso di riorganizzazione per riuscire a rispondere alle nuove esigenze dei clienti. Inoltre, il 92% considera fondamentale ridisegnare la propria modalità di lavoro, mentre il 90% individua nella leadership una delle criticità maggiori.

A segnalare il problema culturale e valoriale presente nelle aziende aveva già pensato nel 2011-2012 Gallup, che nello studio “The State of the Global Workplace” aveva evidenziato come solo il 13% dei dipendenti si sentisse partecipe e coinvolto nell’attività lavorativa. Tra le fonti di questo disagio il Barrett Values Centre ha indicato la gerarchia, il controllo, la focalizzazione a breve termine, la mentalità a compartimenti stagni, il biasimo, la confusione, l’accumulo di informazioni e l’eccessivo monte ore lavorativo, mentre cooperazione, responsabilità, attitudine a cercare un miglioramento continuo, comunicazione aperta e focalizzazione sul riconoscimento dei dipendenti e sulla soddisfazione del cliente risultano essere gli elementi che i dipendenti considerano maggiormente desiderabili nella cultura aziendale.

La ricerca che abbiamo svolto in collaborazione con ResearchNow ci ha permesso di comprendere come dipendenti e manager si immaginano oggi l’azienda del futuro: per citare qualche dato, il 52% degli intervistati immagina l’organizzazione ideale come un network di team collegati tra loro, in cui le decisioni non provengono dall’alto; secondo il 41%, inoltre, tali decisioni non dovrebbero dipendere dal volere del top manager, ma conseguire da un insieme di valori condivisi dall’intera azienda”.

Due modalità diverse, dunque, per provare a immaginare una nuova realtà aziendale, in cui tutti siano chiamati a contribuire attivamente e responsabilmente al raggiungimento degli obiettivi di business. “Non è mia intenzione, ovviamente, esprimere un giudizio di valore in merito a questi due nuovi modelli, Holacracy ed AEquacy. Si tratta di due sistemi organizzativi che promuovono una significativa disruption rispetto alle organizzazioni tradizionali, anche se secondo due differenti modalità: Holacracy è un sistema proceduralizzato, mentre AEquacy è più centrato sull’uomo e sul suo sviluppo. La propensione per l’uno o per l’altro dipende anche dal tipo di attività svolta dall’azienda che desidera intraprendere un percorso di cambiamento organizzativo e dalla sua cultura. Tuttavia, se davvero si vuole promuovere un cambiamento radicale, il punto centrale resta uno solo, ed è – a mio avviso – la necessità di un cambio di mentalità all’interno delle aziende, che porti realmente a scardinare l’abitudine alla subordinazione, dalla quale deriva buona parte dei meccanismi disfunzionali rintracciabili nelle organizzazioni, promuovendo la fiducia tra colleghi, senza la quale ogni processo di responsabilizzazione è destinato presto o tardi a fallire. Sono molti gli esperimenti e le teorie – si pensi per esempio all’effetto Pigmalione, alla teoria X e alla teoria Y – che dimostrano come la nostra tendenza a non credere davvero nel valore delle persone e nella loro onestà, spesso in modo del tutto immotivato, ci porti a sprecare tempo e risorse in un controllo costante e controproducente, che crea un forte disengagement dei lavoratori. Le persone sono componenti fondamentali per garantire il corretto funzionamento dell’organismo-azienda: si tratta solo di fornire loro concretamente la possibilità di esprimere le loro potenzialità”.

Emma Pisati – HEI Human Experience Insights

COMMENTI

WORDPRESS: 0
DISQUS: 0