Il lavoro del futuro si colloca sotto il segno dell’apertura, tecnologica e mentale: basta paure e preoccupazioni legate alla rivoluzione digitale che impediscono di coglierne il carattere di preziosa opportunità per creare nuovi posti di lavoro – come già dimostrato dal settore digitale in Italia, che oggi dà lavoro a 600mila persone e sviluppa un PIL pari a 80 miliardi di euro. Su questi temi si è focalizzato il primo incontro di Economia sotto l’Ombrellone, svoltosi il 6 agosto a Lignano Sabbiadoro, che – grazie agli interventi di Manuel Cacitti (Ceo SecurBee), Cristiano Ercolani (vicepresidente del Comitato Nazionale di Coordinamento Territoriale di Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici – CSIT), Marco Giacomini (amministratore delegato di Real Comm) e Alberto Miotti (fondatore di Servizi 4.0 ed esperto di percorsi di digitalizzazione e innovazione aziendali) – ha fornito ai partecipanti chiare indicazioni sul futuro del mercato occupazionale, che richiederà non solo una crescente preparazione tecnica, ma anche una profonda preparazione umanistica e una forte attenzione all’etica del lavoro.
“La storia dimostra” ha spiegato Giacomini “che il progresso tecnologico sul medio-lungo periodo non ha mai fatto perdere posti di lavoro, ma li ha invece sempre fatti crescere. Ci sono periodi di adattamento durante i quali determinate tipologie di lavoro diventano obsolete e le persone sono costrette a ripensare le proprie attività, ma alla lunga il numero di persone occupate finirà per crescere. Serviranno professionisti preparati dal punto di vista tecnico-scientifico, ma anche persone con una forte preparazione umanistica, perché avremo bisogno di chi produce ‘le scatole’ e di chi le riempie di contenuti”.
“I mestieri che via via spariranno” ha aggiunto Miotti “saranno quelli più pericolosi e a minor valore aggiunto, perché quei lavori potranno essere fatti meglio e con meno rischi da macchine e robot. Saranno, invece, sempre più importanti i lavori dove bisogna applicare l’intelligenza umana per sviluppare e guidare le intelligenze artificiali e imparare a interagire con esse. Serviranno, quindi, competenze che sommino una notevole preparazione tecnologica a una significativa preparazione economica e a profonde competenze umanistiche, unendo hard skill e soft skill”.
Sull’importanza di una formazione profonda e ampia – consolidata anche da esperienze all’estero per conoscere nuovi modi di lavorare e mantenersi aperti al confronto e alla contaminazione – e dell’attenzione che va garantita a deontologia professionale ed etica del lavoro hanno insistito anche Cristiano Ercolani e Manuel Cacitti, sottolineando come passione, competenze relazionali e capacità di cambiar pelle lungo il proprio percorso professionale possano determinare la differenza tra un buon operativo e uno straordinario operativo.
Apertura è quindi la parola d’ordine per affrontare i cambiamenti dell’Industria 4.0 e valorizzare le opportunità che questa offre – principalmente di natura culturale, poiché promuovono un aggiornamento complessivo e trasversale all’interno delle aziende.
“L’Industria 4.0 e la digital innovation” ha concluso Ercolani “offrono un potenziale tutto da scoprire: stanno aprendo fronti in cui l’unica cosa che serve realmente è la fantasia di immaginare un mondo nuovo e sviluppare i processi abilitanti per questo mondo”. Ecco perché la chiave è una mente aperta: la conoscenza è fondamentale, ma non basta più.
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