Sviluppo sostenibile e responsabilità sociale d’impresa sono temi a cui le aziende iniziano a prestare una sempre maggiore attenzione, complici anche le nuove esigenze manifestate dai lavoratori, che si dimostrano spesso particolarmente attenti non solo ai valori che l’azienda professa, ma anche alle modalità in cui si impegna ad attuarli. Una delle possibili strade che le organizzazioni possono seguire per evitare di limitarsi agli slogan è quella del volontariato aziendale, ovvero “un progetto in cui l’impresa incoraggia, supporta o organizza la partecipazione attiva e concreta del proprio personale alla vita della comunità locale o a sostegno di organizzazioni non profit durante l’orario di lavoro (complessivamente 3 giornate lavorative, ndr)”. I vantaggi sono numerosi e riguardano tanto l’azienda – per esempio in termini di miglioramento dell’immagine – quanto i lavoratori – che possono così acquisire nuove competenze e crescere a livello professionale e umano. Altra capacità fondamentale oggi per tutte le aziende è quella di gestire le diversità, di genere ma anche culturali.
Per approfondire queste due tematiche abbiamo rivolto qualche domanda a Sarah Milot, Responsabile dei progetti per SINGA Italia, associazione che fa parte di una rete globale di organizzazioni non profit che sviluppa progetti finalizzati alla connessione e integrazione tra società civile e migranti.
Le connessioni generano valore
“SINGA significa ‘connettere’ in Lingala, la lingua ufficiale della Repubblica Democratica del Congo: è un’organizzazione nata in Francia nel 2012 che si pone come obiettivo quello di facilitare l’incontro e lo scambio tra la società civile e i nuovi arrivati, creando il network e le risorse necessarie per creare e vivere insieme” ha spiegato Sarah. “Facciamo parte di un network di organizzazioni presenti in 8 Paesi del mondo: Italia, Francia, Svizzera, Germania, Belgio, Québec, Marocco e Regno Unito. Ad oggi la community di SINGA raccoglie più di 25.000 persone tra rifugiati, studenti, migranti, professionisti, migranti di seconda generazione, collaboratori di organizzazioni non profit, aziende private e università. Attraverso questa community e le sue attività, SINGA mobilita la società civile e identifica nuove opportunità per affiancare i nuovi arrivati nel loro percorso di inclusione socio-economica”.
Il tema dei migranti nel nostro Paese è piuttosto delicato: come sono state accolte le vostre attività?
“Per ora i nostri partner e i partecipanti hanno risposto molto bene alla visione e ai programmi di SINGA. Le nostre attività sono state accolte sempre in maniera positiva, e abbiamo provato a raccontare le nostre esperienze con onestà e trasparenza. Vedremo, se l’organizzazione avrà mai un profilo mediatico più in risalto, se cambierà la percezione. Siamo comunque coscienti dell’attuale clima politico e sociale in Italia, e proviamo ad affrontare le tematiche di accoglienza e integrazione con tutti, senza distinzione di credo politico”.
Come sono strutturati i vostri progetti e quali benefici personali e professionali offrono a chi decide di prendervi parte?
“Ad oggi abbiamo un programma di Professional Mentoring, di cui il secondo ciclo sta iniziando ora, e un programma legato all’imprenditorialità che inizierà a dicembre. SINGA Professional Mentoring è un percorso di supporto attraverso il sostegno personalizzato di professionisti in grado di offrire consigli pratici, informazioni sulla società di accoglienza, sul funzionamento e sulle consuetudini del mercato del lavoro. SINGA mette in contatto i nuovi arrivati (mentees) con professionisti italiani (mentori) sulla base di interessi, background lavorativo e competenze simili. L’impegno richiesto è di circa 3 ore al mese per 4 mesi” ha proseguito Sarah. “Grazie al programma, i mentors sviluppano una conoscenza più approfondita in merito all’integrazione e alle barriere in accesso al mercato del lavoro, le loro capacità di leadership e di comunicazione crescono e si arricchiscono personalmente. Riguardo ai mentees, migliorano la loro conoscenza del mercato del lavoro e delle sue consuetudini, hanno accesso a una rete di contatti nuovi e utili per trovare offerte di lavoro, nonché a consigli pratici. Trovano infine un supporto emotivo e personale durante il percorso di inserimento lavorativo, così da aumentare la fiducia in loro stessi”.
Quanti percorsi di mentoring avete finora avviato? Quali sono i risultati ottenuti?
“Finora abbiamo portato a termine un programma pilota e stiamo avviando il secondo ciclo in questo periodo. Il lancio è avvenuto con successo a marzo 2018, con 10 coppie create (20 partecipanti). Alla fine del ciclo di mentoring, il 70% dei mentees ha trovato un lavoro o un tirocinio retribuito grazie ai contatti e al supporto forniti dai propri mentori. Infine, il 100% dei mentees ritiene di avere una migliore conoscenza del mercato del lavoro italiano grazie ai consigli e alle informazioni ottenute dal mentore”.
Le vostre iniziative potrebbero essere proposte dalle aziende ai propri collaboratori come forma di volontariato aziendale? In che modo?
“Certo, SINGA Professional Mentoring potrebbe essere proposto dalle aziende ai propri collaboratori, cosa che già è avvenuta in altri Paesi come la Germania e la Francia. In questo caso, SINGA elabora un programma di mentoring su misura, che consiste nel connettere i nuovi arrivati con i dipendenti sulla base di interessi, background lavorativo e competenze simili” ha dichiarato Sarah. “Il dipendente agisce come contatto professionale per il mentee, consentendogli di acquisire le informazioni necessarie relative all’industria in cui lavora, le competenze richieste, i processi di domanda d’impiego, ma anche i requisiti legali necessari per lavorare in Italia, oltre alle competenze linguistiche e culturali. Il mentee ha inoltre l’opportunità di partecipare a eventi di networking, e il dipendente può introdurlo a colleghi che facciano parte di un network professionale (associazioni di settore, ecc.), in modo da moltiplicare i contatti di cui il mentee dispone per cercare lavoro” ha aggiunto Sarah. “Prima e durante il progetto, SINGA organizza dei workshop di gruppo per formare mentor e mentee, per svolgere attività di conoscenza di gruppo e per presentare nuovi partner e opportunità ai partecipanti, qualora fossero interessati. Appena mentor e mentee sono stati identificati da SINGA, lo staff del progetto accompagna la coppia durante il primo incontro per promuovere la conoscenza reciproca, fornire supporto nell’identificazione degli obiettivi da raggiungere e, in generale, facilitare l’incontro. Il progetto inoltre è completato da attività di comunicazione e dalla creazione di una community SINGA tramite l’organizzazione di eventi dedicati, il lancio di campagne media e le partnership con stakeholder interessati a offrire ai nuovi arrivati servizi finalizzati all’empowerment economico e all’integrazione”.
Quali sono, dal vostro punto di vista, i principali ostacoli che si frappongono sulla strada verso una corretta gestione della diversity?
“Oggi la diversità in Italia non è affrontata se non come tema residuale, sempre a livello politico e mediatico e non nelle realtà aziendali o nelle reti sociali. Gli ostacoli principali sono:
- integrazione – le politiche di integrazione non hanno una prospettiva di lungo periodo, sono incentrate sulla prima accoglienza ma non affrontano adeguatamente le tematiche delle competenze e dell’integrazione economica. L’approccio ‘pedagogico’ all’integrazione che ha contraddistinto l’Italia ha potuto supportare migliaia di persone, ma purtroppo si scontra con la necessità di integrare nuovi professionisti nel mercato del lavoro. Mancano le competenze!
- burocrazia – per le aziende interessate ad aumentare la diversità della forza lavoro, gli ostacoli burocratici sono molti, e questo disincentiva le iniziative private. L’approccio del governo attuale allo stesso modo non consente ulteriori investimenti nel settore dell’integrazione lavorativa;
- valori – la diversità in Italia, Paese etnicamente molto omogeneo rispetto ad altri in Europa, è un tema difficile e affrontato spesso in ottica di assistenza e aiuto ‘a distanza’, senza riconoscere che la diversità porta ricchezza non solo sociale ma economica, con nuove idee e prospettive che si aggiungono all’economia locale. È necessario quindi ripensare cosa vuol dire diversity: non si tratta di un nice to have, ma di una necessità per un Paese che voglia continuare a crescere e prosperare. È quindi anche importante cambiare il linguaggio con il quale ci si rapporta alla diversità, così come iniziare a considerare i migranti come individui, professionisti e adulti”.
Emma Pisati – HEI Human Experience Insights
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