Il 2020 sarà un anno indimenticabile per tanti aspetti, molti negativi, alcuni assolutamente positivi. Succede in tutte le crisi: non dimentichiamoci infatti che la parola greca krisis significa scelta.
Per quanto riguarda il coaching, noi aziende di consulenza abbiamo dovuto fare, insieme alle aziende nostre clienti, una scelta: aspettare diversi mesi, fino alla normalizzazione della situazione, o proseguire le nostre attività con modalità interamente online. Una scelta di business, certo, ma anche una vera e propria scelta culturale in un settore, le risorse umane, che da sempre enfatizza l’importanza del contatto umano e della vicinanza.
Le aziende più lungimiranti ci hanno seguiti e hanno deciso insieme a noi di non bloccare i progetti di coaching, ma di lanciarli e portarli avanti non “nonostante”, ma proprio “in funzione” della crisi Covid-19: è nei momenti di turbolenza e di cambiamento, infatti, che le persone hanno più bisogno di essere sostenute, rafforzate, stimolate. Oggi più che mai un manager deve saper ispirare il team: un team spesso in smart working, che rischia di non sentire l’ispirazione, di sentire troppa distanza.
Ecco, il concetto di distanza è proprio il punto fondamentale su cui mi preme porre l’attenzione. La crisi Covid-19 ci ha infatti obbligati a cambiare la nostra modalità di erogazione del coaching (coaching one-to-one, team coaching, diversity & inclusion coaching), passando da una modalità di presenza fisica o al massimo blended (fisica più online) a una modalità con erogazione interamente a distanza.
Ma cos’è la distanza? Finora abbiamo pensato che l’utilizzo di piattaforme come Skype, Zoom, Teams fosse una sorta di “videocitofono” in cui si vede la persona, e che fosse solo una sorta di comodo escamotage per quando non è possibile vedersi di persona, quando il coach e il coachee sono in due città o in due Paesi diversi. Per anni, infatti, abbiamo suggerito ai clienti di fissare almeno la prima sessione in presenza e il resto a distanza.
La crisi Covid-19 ci ha portati, invece, a erogare dei progetti di coaching complessi interamente online, in cui coach e coachee non si incontrano mai fisicamente. Lo stesso kickoff meeting, col top management, viene erogato online. Risultati? Grazie alle piattaforme, siamo entrati nelle case dei coachee, e i manager sono entrati nella casa del coach: nessuna barriera legata alla maschera professionale che ci mettiamo (look da lavoro), nessuna barriera legata a un setting professionale (di solito l’ufficio del coach), nessuna ansia da corsa tra un appuntamento di lavoro e un altro.
La distanza viene magicamente annullata: si entra subito nella realtà del coachee, nella sua vita reale, empaticamente. In queste settimane, mentre facevo il coaching online, mi è capitato di veder passare nello schermo mariti, mogli, figli. I coachee hanno potuto condividere, oltre ai temi oggetto di coaching, la loro vita quotidiana, la loro solitudine in certi casi, la loro vita al tempo del Covid-19, i compiti dei figli: la loro umanità. Tutto questo non ha tolto al coaching, anzi ha aggiunto moltissimo.
Il coaching è un intervento professionale di supporto allo sviluppo della personalità e delle competenze del coachee. La sua efficacia è data da tre fattori: la capacità professionale “maieutica” del coach; quanto il coachee si apre ed è disposto a farsi supportare; la relazione umana, empatica, che si crea tra coach e coachee, davvero fondamentale.
Un coaching erogato interamente online – l’ho visto in questi mesi di lavoro – permette certamente una relazione professionale e umana diversa da quella di un incontro de visu, ma non meno intensa, non meno efficace, dove la distanza non è affatto un problema, anzi.
Roberto D’Incau
CEO Lang&Partners Younique Human Solutions
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