Che tu sia un coach o alla ricerca di un coach, c’è una sigla che prima o poi si finisce con l’incontrare: ICF. Si tratta della International Coach Federation, vero e proprio punto di riferimento a livello globale per tutti i coach professionisti, impegnata da anni nella promozione del coaching all’interno della società e delle aziende, nonché nel monitoraggio costante degli standard qualitativi ed etici di tutte le attività ad esso relative. ICF opera in Italia dal 2002, promuovendo networking, formazione e aggiornamento tra professionisti uniti dagli stessi valori.
Per conoscere meglio quella che attualmente è la più grande associazione di coach al mondo – e in attesa di incontrare dal vivo i rappresentanti italiani durante il Coaching Day previsto per il 14 settembre – abbiamo parlato con Fabrizio Bresciani, presidente ICF Italia, che è anche intervenuto come relatore durante il nostro Talk About I nuovi strumenti per HR manager.
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Iniziamo con le presentazioni: che cos’è l’International Coach Federation e quali sono i suoi obiettivi?
“L’International Coach Federation (ICF) nasce negli USA nel 1994 con lo scopo di promuovere l’arte, la scienza e la pratica del coaching professionale. È la principale organizzazione mondiale dedicata alla promozione della professione del coaching attraverso alti standard etici e professionali, basata su una rete mondiale di coach con credenziali professionali. Gli iscritti ad ICF Global sono oltre 30.000, dislocati in 150 Paesi (Chapter); il Chapter italiano quest’anno celebra 17 anni di attività: è tra i primi Paesi membri europei, e in Europa è al quarto posto per numero di soci. I principali obiettivi dell’associazione sono:
- diffondere la cultura, la conoscenza e le caratteristiche distintive del coaching;
- condividere con i clienti i requisiti di professionalità ed etica, per garantirne il rispetto e l’applicazione;
- accrescere l’esperienza e consolidare la professionalità dei suoi associati;
- costruire un network di coach per offrire agli iscritti l’opportunità di evolvere nella professione e di condividere esperienze;
- offrire un forum permanente in cui gli associati possano confrontarsi su temi professionali;
- offrire opportunità di collaborazione con i clienti in modo da facilitare la condivisione delle risorse disponibili e la creazione di soluzioni efficaci, nonché la nascita di sinergie tra gli associati”.
Si fa un gran parlare di coach e coaching, ma spesso le idee in proposito sono quantomeno confuse. Come definite la figura del coach e quali sono le qualità e le competenze di cui non può fare a meno?
“ICF definisce il coaching come una partnership con i clienti, che attraverso un processo stimolante e creativo spinge a massimizzare il potenziale personale e professionale attraverso la definizione di obiettivi, la creazione di risultati e la gestione del cambiamento personale. Come detto, ICF si prefigge di divulgare il coaching professionale basato su due elementi fondamentali: il Codice Etico e le 11 competenze che un coach deve essere in grado di offrire al proprio coachee nell’ambito di un percorso di coaching”.
Quali sono, in base alla vostra esperienza, i principali rischi e pregiudizi da cui bisogna guardarsi nel momento in cui si procede all’ideazione e realizzazione di un progetto di coaching in azienda?
“Crediamo che sia fondamentale fare chiarezza in merito alle aspettative che ha il cliente, e tenere conto di tutti quei pregiudizi nati da esperienze negative per attività di coaching erogate da persone poco professionali, che si dichiarano coach senza aver neppure seguito un iter di formazione. La formazione – anzi, la formazione continua – è un’altra delle basi su cui si fonda la credibilità di ICF. Le scuole che erogano percorsi per diventare coach, e che hanno ottenuto la nostra certificazione, devono fare in modo che i loro allievi metabolizzino l’etica e le 11 competenze. Inoltre, non esistendo al momento un albo di coach e/o un iter di certificazione UNI, ICF rilascia tre diversi livelli di credenziali che il coach può ottenere a seconda delle sue capacità e del numero di ore di sessione erogate. Le credenziali hanno durata triennale, e per rinnovarle occorre dimostrare di aver continuato ad accumulare crediti formativi riconosciuti dalla nostra federazione.
Un altro pregiudizio che a volte incontriamo in azienda è che il coach sia una sorta di psicologo che si occupa di chi ha una difficoltà. Un modo attraverso cui affrontiamo questo tipo di resistenze è spiegare cosa sia e cosa non sia il coaching: il coach, infatti, è tenuto a comunicare con chiarezza le differenze tra coaching, consulenza, psicoterapia e altre professioni di supporto. Suggerisce al cliente, se necessario, di rivolgersi a un altro professionista, ma senza dare un’indicazione di tipo diagnostico”.
Sappiamo che ICF ha recentemente elaborato un processo per la misurazione del ROI delle attività di coaching: puoi presentarlo in breve?
“In ICF Global sono presenti diversi comitati con l’obiettivo di accrescere sempre più le competenze che i coach ICF devono maturare, e di seguire tutte le evoluzioni del coaching; non si può certo dire che il coaching di oggi sia uguale al coaching di ieri, né tantomeno che quello di domani sarà uguale a quello di oggi (su questo interverremo in occasione della conferenza nazionale “Coaching oltre il tempo”, che si svolgerà a Firenze il 25 e 26 ottobre).
Secondo Full Potential Group la forma più comune di misurazione degli interventi di coaching è di tipo informale, e contraddistingue il 77% degli interventi di coaching one-to-one e il 23% dei team coaching. Il mercato, però, richiede sempre più la misurazione del coaching, e l’80% delle PMI vuole evidenza oggettiva dell’investimento.
Uno degli elementi di misurazione che si può adottare per misurare l’efficacia di un progetto di coaching è sicuramente il ROI, che può essere valutato attraverso differenti modelli. ICF Italia da quest’anno ha avviato un comitato scientifico – composto da coach ICF con credenziali e notevole esperienza – che sta definendo un proprio modello di valutazione così da offrire, direttamente ai propri associati e indirettamente ai loro clienti, un protocollo da adottare per misurare tangibilmente i risultati di un percorso di coaching. Allo stato attuale è stato definito un processo suddiviso in 10 fasi:
- identificazione e selezione delle competenze da misurare;
- creazione e validazione di un questionario a 360 gradi;
- identificazione, selezione e onboarding del campione;
- diagnostica di ingresso (ex ante) sui campioni;
- creazione di un protocollo dell’intervento di sviluppo;
- erogazione dell’intervento di sviluppo secondo il protocollo;
- diagnostica finale (ex post) ed elaborazione dei dati;
- elaborazione e confronto dei risultati;
- validazione finale del protocollo;
- redazione e divulgazione dei risultati.
Con l’adozione di una metodologia ROI aiutiamo il nostro coachee a co-creare un meccanismo di valutazione e monitoraggio delle performance che il nostro partner ha determinato in totale autonomia grazie al coaching.
Concludendo, il più grande cambiamento che ci aspettiamo di vedere in quest’area nei prossimi cinque anni sarà lo sviluppo della capacità, tra chi acquista e chi eroga servizi di coaching, di poterne dimostrare il ROI. Poiché gli investimenti in risorse umane diventano sempre più guidati dai dati, lo sviluppo delle persone non farà eccezione; le relazioni qualitative dovranno essere integrate da rapporti quantitativi. Sia i coach interni alle aziende che quelli esterni dedicheranno più risorse alla misurazione e all’analisi, lavorando in équipe”.
Emma Pisati
HEI Human Experience Insights
Tra poco più di un mese ICF proporrà un’intera giornata dedicata al coaching: il 14 settembre, infatti, si svolgerà a Milano il Coaching Day, evento gratuito durante il quale sarà possibile conoscere e sperimentare direttamente l’approccio etico al coaching che contraddistingue ICF.
Non perdere questa occasione: qui trovi tutte le informazioni per partecipare.
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