HR management, istruzioni per l’uso

HR_management_copertinaSi fa un gran parlare di trasformazioni nel mercato del lavoro, di guerra per conquistare i talenti migliori, di cambiamenti nei “rapporti di forza” tra organizzazioni e collaboratori, ma come si risponde a queste sfide? Cosa possono fare in concreto gli HR manager che quotidianamente fanno i conti con aspettative ed esigenze di aziende, candidati e dipendenti, tutelando al meglio le possibilità di crescita, competitività e soddisfazione di ciascuno? Queste sono alcune delle domande da cui ha preso le mosse il nostro Talk About del 23 maggio, intitolato I nuovi strumenti per HR manager.

Cosa ci si aspetta oggi dall’employee experience

Partiamo dalle certezze: la digitalizzazione fa sentire il proprio peso su employee experience, aspettative ed HR management. Attrarre, ingaggiare e trattenere le persone giuste richiede strategie e strumenti innovativi, soprattutto quando si tratta di conquistare le nuove generazioni, nate e cresciute con tecnologie d’avanguardia a portata di mano e con la ferma convinzione di avere il diritto di essere poste al centro di pensieri e servizi aziendali.

Secondo quanto sostenuto da Emanuela Nisli e Cristina Colombo di Kantar, i dipartimenti HR devono attualmente focalizzarsiKantar_HR_Management sul fornire una employee experience di valore, personalizzata, digital e sintonizzata sui bisogni individuali, sostenere il percorso e l’impatto del digitale in azienda – mediando anche le divergenze di vedute e i gap di competenze tra generazioni differenti – e allineare l’impegno e gli sforzi dedicati al miglioramento di relazioni ed esperienze esterne (ovvero quelle riservate ai clienti) a quelli profusi invece per rendere più umane e di valore le relazioni e le esperienze interne.

Tre sono le attività che, se correttamente gestite e valorizzate, possono condurre a questi obiettivi: la prima è l’employer branding, strettamente connesso a marketing e brand purpose, attraverso cui veicolare e tutelare l’allineamento valoriale tra immagine esterna e realtà aziendale interna. “Attenzione perché non si tratta semplicemente di una questione di principio: si parla di business” ha sottolineato Emanuela. “Constatare che l’azienda non si limita a declamare i propri valori, ma li agisce, è fonte di soddisfazione per i dipendenti, che sono così spontaneamente portati a trasformarsi in brand ambassador”. La dimensione valoriale interna all’organizzazione è inoltre al centro di aspettative ed esigenze dei lavoratori: una recente ricerca Randstad-Kantar indica come prioritari – fatte salve le dovute differenze generazionali – work-life balance, atmosfera di lavoro piacevole, retribuzione e benefit, sicurezza e occasioni di formazione e carriera.

Dal momento che i collaboratori migliori non si conquistano più una volta per sempre, il secondo campo d’azione è il monitoraggio dei need e la personalizzazione dell’esperienza. Mappare e monitorare aspettative e bisogni – arrivando per esempio a cogliere e valorizzare i momenti più significativi dell’employee journey – incide positivamente su retention ed engagement, creando un legame e una connessione più profondi tra azienda e dipendenti.

Terza e ultima fase di questa umanizzazione dell’employee experience proposta da Kantar sono gli activation workshop, ovvero attività di gruppo che permettono a ciascuno di assimilare e vivere quanto emerso attraverso l’applicazione degli strumenti di monitoraggio dello stato dell’organizzazione interna e dei suoi membri.

Il coaching come scienza esatta

Abbiamo visto che una delle esigenze forti che contraddistinguono gli individui attivi sul mercato del lavoro è quella di ricevere una formazione solida e di avere occasione – nel corso della propria carriera professionale – di sviluppare la propria employability e vedere valorizzate le proprie competenze e qualità. Una delle possibilità che si offrono alle aziende come risposta è il coaching aziendale.

ICF_Italia_HR_ManagementMa che cos’è il coaching, a quali risultati conduce e – soprattutto – ha un ROI misurabile? A fugare questi dubbi ci ha pensato Fabrizio Bresciani, presidente di ICF Italia: “Chiariamo innanzitutto una cosa: il coach non dà suggerimenti né fornisce soluzioni, ma accompagna il coachee in un percorso che punta a far emergere dall’individuo stesso le risposte e le azioni possibili, una volta individuato ed esplicitato chiaramente e concretamente l’obiettivo da raggiungere”. Contrariamente all’opinione dominante, inoltre, oggi è possibile garantire un’effettiva misurazione del ROI di questo tipo di attività, grazie a un processo elaborato dal comitato scientifico di ICF – International Coach Federation. Il monitoraggio e il reporting dei risultati si basa sulla mappatura delle competenze, l’individuazione dei criteri di misurazione e dei risultati da prendere in considerazione e da portare all’attenzione del management. “Mai trascurare, infine, la cosiddetta chemistry tra coach e coachee, fondamentale affinché ogni progetto funzioni e basata su credibilità, competenza, capacità di costruire una solida partnership, etica, fiducia, empatia e relazione” ha concluso Fabrizio.

Innovare partendo dalle persone

Nessun miglioramento e cambiamento è perciò effettivo se non parte dalle persone, chiamandole direttamente in causa e invitandole a esprimere pienamente le loro qualità, competenze e potenzialità. A tal proposito è importante non trascurare la dimensioneCreography_HR_Management dell’intelligenza collettiva e le risorse liberate da attività di co-creazione e co-progettazione basate su ascolto, assunzione di punti di vista differenti, coinvolgimento e leadership diffusa, come ci hanno spiegato Silvia Toffolon ed Eva Martini di Creography. “L’innovazione è il prodotto di creatività e capacità di realizzazione” ha dichiarato Silvia, “e la creatività, in particolare, è il contesto e il terreno senza il quale l’innovazione non può davvero fiorire. È fondamentale iniziare a identificare i creativi non più come ideatori di soluzioni troppo costose, stravaganti e inapplicabili, ma come dei veri problem solver”. Innovare partendo dalle persone migliora la collaborazione, la rapidità decisionale, la condivisione, l’efficienza e la valorizzazione delle idee di ciascuno – che non significa banalmente dare concreta e acritica attuazione a tutte le proposte, ma essere aperti a coglierne l’apporto utile da un punto di vista strategico. “Permettere a tutti di essere innovatori fa la differenza anche considerando l’obiettivo di rinforzare i team di lavoro, la partecipazione, ridurre errori e sprechi” ha proseguito Silvia. “La co-creazione di processi umani e l’incentivazione della collaborazione tra pari ha quindi ricadute altamente positive sull’organizzazione interna che non vanno sottovalutate, in quanto capaci di generare risultati e cambiamenti assolutamente concreti”.

Premesse ideali, queste, alla sperimentazione attiva di simili processi creativi proposta ai partecipanti al termine della mattinata, che li ha visti impegnati – prima individualmente e poi a coppie – nell’ideazione del dipartimento HR del futuro.

Emma Pisati
HEI Human Experience Insights

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