Stiamo aspettando con ansia la vaccinazione di massa per poter vedere la luce in fondo al tunnel della pandemia, ma dal punto di vista della ripresa economica la strada sarà ancora lunga. Tutti abbiamo bisogno di una ripresa rapida, dato che la produzione persa a causa del Covid-19 si aggira intorno ai 28 trilioni di dollari, e si prevede che la perdita di posti di lavoro a livello globale sia compresa tra i 5 e i 25 milioni. I giovani sono particolarmente colpiti: più di 6,4 milioni di 15-24enni hanno perso il lavoro nei Paesi del G7 solo nella prima metà del 2020.
Da dove ripartire quindi? C’è un elemento da considerare: le aziende che sono riuscite a mantenere il proprio business durante la crisi sono quelle che hanno abbracciato il digitale. Il loro successo è derivato dalla capacità di reagire e adattarsi ad ambienti in rapido cambiamento, scegliendo appunto nuove modalità e accelerando sulla trasformazione digitale.
Quindi, da un lato abbiamo il potenziale per una ripresa economica più sostenibile, alimentata dal digitale; dall’altro abbiamo tassi di disoccupazione terribilmente alti tra le giovani generazioni. È chiaro che dobbiamo affrontare il secondo aspetto se vogliamo raggiungere il primo, perché se c’è una cosa che non si vuole quando si cerca di accelerare la crescita è la mancanza di persone con le giuste competenze.
Una generazione di esploratori, studenti e innovatori per necessità
Detto in altro modo, l’unica via per la ripresa economica globale nell’era digitale è l’impiego delle conoscenze, delle competenze e delle abilità delle giovani generazioni.
Non c’è mai stato un momento migliore per portarle in azienda. Secondo una recente ricerca VMware, tre quarti dei giovani tra i 18 e i 24 anni (la famosa generazione Z) si identificano come “digitalmente curiosi” o “esploratori digitali”. Sono cresciuti con la tecnologia, ma c’è di più: cercano attivamente di imparare e sviluppare le loro conoscenze. Globalmente, il 60% dei ragazzi in Europa (e il 56% in Italia) pensa che ciascuno sia responsabile in prima persona delle proprie competenze digitali, rispetto per esempio al 23% (13% in Italia) che si aspetta che sia compito delle aziende.
Dato che il ritmo del cambiamento nel business continuerà ad accelerare, il talento naturale che la Gen Z ha per imparare e adattarsi “al momento” è inestimabile. Molto di quello che facciamo ora non esisteva neanche dieci anni fa, e questo ritmo impressionante riguarda anche la trasformazione del mondo del lavoro: un rapporto ha suggerito che l’85% dei lavori che gli studenti di oggi avranno nel 2030 non è ancora stato inventato.
Eppure, c’è il rischio che la Gen Z possa essere trascurata: con le assunzioni ferme e molti contratti in stage a causa delle preoccupazioni economiche, i giovani stanno affrontando una strada in salita anche solo per “mettere un piede oltre la soglia” delle aziende.
Questo rappresenta un rischio per le organizzazioni. In primo luogo perché se non dai a qualcuno un’opportunità, è probabile che la trovi da qualche altra parte, magari da un concorrente, portando quindi altrove l’attitudine per l’apprendimento, la passione per un approccio più sostenibile al business e la conoscenza digitale. In secondo luogo, se non si prendono provvedimenti per coinvolgere i talenti del prossimo futuro, anche se non sono i talenti del momento, ci si potrebbe ritrovare con un enorme vuoto di competenze, che sarà molto costoso da colmare.
Non pensando a lungo termine, le aziende possono seriamente mettere in discussione la possibilità di successo in futuro. Ma come si può assumere qualcuno per ruoli che ancora non esistono? Comprendendo che i lavori, come le persone, evolvono nel tempo. Se un’azienda ha una posizione che pensa possa essere molto diversa tra qualche anno, probabilmente ha senso occuparla con qualcuno con l’attitudine all’apprendimento, in modo che possa sviluppare le competenze nel tempo, e che sia lui che il ruolo evolvano in modo incrementale – a tutto vantaggio delle esigenze di business.
Inoltre, non bisogna sottovalutare il modo diverso di pensare che un giovane può portare in un’organizzazione, la prospettiva fresca che ogni nuova generazione di lavoratori porta con sé: nel caso della Gen Z, la differenza è il radicamento nella vita digitale.
Se un’azienda riesce a coinvolgere i più abili non solo nell’uso della tecnologia, ma anche nel trovare nuovi modi per farla funzionare, non solo vedrà dei guadagni a breve termine, ma sarà in una posizione molto più forte per avere successo nel prossimo decennio. Assumendo una visione strategica a lungo termine, con un pool di talenti giovani e competenti in materia di tecnologia disponibili per l’assunzione, si può sperare di vedere una ripresa economica più forte e una crescita sostenibile all’indomani della pandemia.
Joe Baguley,
VP & CTO VMware EMEA
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