Il lato oscuro della tecnologia e dei social network si fa sentire anche in ambito lavorativo, alimentando uno scenario fortemente stressante e negativo che – come rilevato da uno studio americano pubblicato su Forbes – ha portato il 66% dei nativi digitali a dichiararsi affetto da workaholism, ovvero “la compulsione o l’incontrollabile necessità di lavorare incessantemente” (W. Oates, Confessions of a Workhaolic: the Facts about Work Addiction, 1971).
Da questa stessa ricerca è emerso inoltre che il 63% dei Millennials è produttivo anche in malattia e il 70% svolge attività lavorative anche nel week-end, dati a cui si aggiungono quelli rilevati attraverso un sondaggio pubblicato sul Washington Examiner, secondo i quali il 39% dei nativi digitali sarebbe disposto a lavorare perfino in vacanza, all’interno di una vera e propria workcation.
“Nei geni dei giovani digitali è insita l’attitudine all’utilizzo di ogni apparato tecnologico che permetta una connessione al mondo, senza bisogno di spostarsi dal proprio ufficio e dalla propria casa. Ciò comporta un cambiamento della percezione del tempo e uno stato di trance che li fa diventare incoscienti” ha dichiarato Marina Osnaghi, prima Master Certified Coach in Italia. “La tecnologia li segue ormai ovunque, mentre sono in bagno, mentre si vestono, mentre mangiano e addirittura quando sono malati. I Millennials si trovano immersi in un ciclo continuo di stimoli, costretti a lavorare un numero di ore dilatato rispetto a quello che sarebbe in un mondo senza tecnologia. E con l’aumento delle ore di lavoro si annullano inequivocabilmente gli spazi per la vita privata. Per questo ricordarsi che la qualità della propria vita è insostituibile diventa una raccomandazione fondamentale per evitare conseguenze spiacevoli sul fisico e sulla psiche“.
Tra i danni causati dal workaholism, la dottoressa Cecilie Andreassen – professoressa di psicologia all’Università di Bergen – ha indicato depressione, ansia, insonnia e aumento di peso mentre, tra le principali cause che spingono i giovani a diventare “lavoratori compulsivi”, Osnaghi ha segnalato “la pressione del capo, la paura di non riuscire a fare carriera, il forte desiderio di avere successo dal punto di vista professionale e quindi lavorare sodo per sfondare. Sono numerosi gli stimoli che possono impattare sulla scarsa capacità di mettere un limite ordinato alla propria esistenza. La generazione dei Millennials dimostra molta più preoccupazione verso il futuro rispetto alla precedente, soprattutto a causa della ricerca dell’indipendenza economica, del desiderio di una famiglia da formare e poi mantenere, e dell’ansia di dover essere più bravi degli altri. Ne consegue che le abitudini di lavoro sono diventate una gabbia in cui perdersi, e i confini etici che proteggono la vita privata sono andati via via affievolendosi“.
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