Quando ansia e stress dilagano, i robot basati su intelligenza artificiale possono diventare i migliori amici dei lavoratori. Non è uno scherzo: sono passati i tempi in cui il sentimento prevalente nei confronti delle macchine intelligenti era la paura per la perdita di posti di lavoro, e ancora una volta è stata la pandemia a segnare un punto di svolta.
Secondo la ricerca AI@Work 2020 – svolta da Oracle e Workplace Intelligence su un campione di oltre 12.000 persone tra dipendenti, manager, leader delle risorse umane e alti dirigenti in 11 Paesi del mondo, compresa l’Italia – quando i livelli di ansia, stress e rischio burn-out nel luogo di lavoro si fanno elevati, è la tecnologia lo strumento privilegiato per ridimensionare i problemi, più ancora che la possibilità di rivolgersi ad altre persone, come per esempio il proprio manager.
2020, l’anno più stressante di sempre
Analizziamo innanzitutto il contesto in cui questo studio si è svolto. L’anno che molti di noi sperano di veder finire al più presto è stato il più stressante di sempre per il 70% del campione intervistato.
Gli impatti negativi sulla salute mentale e il benessere psicologico della popolazione aziendale globale sono in particolare stress (38%), mancanza di equilibrio tra lavoro e vita privata (35%), burn-out (25%), depressione da assenza di socializzazione (25%) e solitudine (14%). Questi sono andati ad aggiungersi alle cause “abituali” di ansia legata al lavoro, ovvero la pressione per raggiungere i risultati (42%), la gestione di attività noiose e/o di routine (41%) e il fatto di dover affrontare carichi di lavoro sentiti come ingestibili (41%).
«Con la nuova situazione legata al lavoro a distanza le demarcazioni tra vita personale e professionale si sono sfumate; in generale il peso del Covid-19 sulla salute mentale è risultato significativo, ed è qualcosa che riguarda lavoratori di ogni settore e Paese» ha spiegato Dan Schawbel, managing partner di Workplace Intelligence. «La pandemia ha messo anche la salute mentale in primo piano: è il più grande problema della forza lavoro del nostro tempo e lo sarà per il prossimo decennio. I risultati del nostro studio mostrano quanto sia diventato diffuso questo problema e perché ora è il momento per le organizzazioni di iniziare a parlarne ed esplorare nuove soluzioni».
Perché preoccuparsi del benessere psicologico dei lavoratori
Oltre ad avere ovvie ripercussioni negative sulla qualità della vita privata, il malessere psicologico incide anche sulla qualità delle prestazioni lavorative e sui livelli di engagement e motivazione delle persone in azienda.
L’84% dei lavoratori nel mondo – e il 76% in Italia – ha dichiarato di aver affrontato difficoltà come la mancata distinzione tra vita personale e lavorativa (41%), mentre il 42% sostiene che stress e ansia fanno precipitare la produttività personale. Il 40% ha aggiunto che tutto questo porta, per esempio, a prendere decisioni meno efficaci e ponderate.
Date queste premesse, i lavoratori si aspettano che le organizzazioni di cui fanno parte si attivino concretamente per contrastare i problemi di benessere psicologico negli ambienti di lavoro.
Più nello specifico, il 76% del campione globale – e il 66% degli italiani – ritiene che la propria azienda dovrebbe fare di più per proteggere il benessere mentale della forza lavoro. Nel 51% dei casi sono stati effettivamente aggiunti servizi di salute mentale o di supporto a vario titolo durante la pandemia di Covid-19.
L’83% della forza lavoro globale (il 75% per l’Italia) vorrebbe inoltre che la propria azienda fornisse tecnologia per supportare il benessere psicofisico e la salute, per esempio con servizi di accesso self-service alle risorse sanitarie (36%), servizi di consulenza su richiesta (35%), strumenti proattivi di monitoraggio della salute (35%), app per il benessere o la meditazione (35%) e chatbot per rispondere velocemente a domande relative alla salute (28%).
Contro stress e burn-out arrivano i robot
In base a quanto emerso dall’indagine AI@Work 2020, i lavoratori individuano nei robot basati su intelligenza artificiale un valido strumento di supporto per contrastare i rischi e il malessere connessi ad ansia e burn-out.
Questo perché le persone ritengono che un’intelligenza artificiale possa creare una “free zone”, una “zona priva di giudizio” (34%), che possa essere un interlocutore imparziale (30%) e che possa fornire risposte rapide a domande specifiche sulla propria salute mentale (29%).
Il 68% delle persone interpellate a livello globale – e il 57% degli italiani – preferirebbe parlare con un robot piuttosto che con il proprio manager dello stress e dell’ansia sul lavoro, e l’80% delle persone (71% per l’Italia) è aperto all’idea di utilizzarlo come consulente o terapeuta.
Il 75% afferma inoltre che l’intelligenza artificiale ha già dato un contributo positivo al benessere psicologico in quanto strumento di lavoro. I principali vantaggi rilevati sono stati l’aver avuto disponibilità delle informazioni necessarie per svolgere il proprio lavoro in modo più efficiente (31%); l’automazione delle attività e la riduzione del carico di lavoro, prevenendo il burn-out (27%); la riduzione dello stress grazie al supporto nel dare le giuste priorità alle varie attività da portare avanti (27%).
L’intelligenza artificiale, in questo senso, ha anche aiutato la maggioranza dei lavoratori ad “abbreviare la settimana lavorativa” – il 51% degli intervistati ritiene che le tecnologie intelligenti abbiano consentito loro di prendersi più tempo di riposo. Oltre la metà degli intervistati afferma che la tecnologia AI aumenta la produttività dei dipendenti (63%), migliora la soddisfazione sul lavoro (54%) e migliora il benessere generale (52%).
«Con la pandemia globale, la salute mentale è diventata non solo una questione sociale più ampia, ma una delle principali sfide sul posto di lavoro. Ha un impatto profondo sulle prestazioni individuali, sull’efficacia del team e sulla produttività organizzativa. Ora più che mai, si tratta di un argomento importante in azienda, e i dipendenti chiedono ai datori di lavoro di farsi avanti e fornire soluzioni» ha concluso Emily He, vicepresidente senior di Oracle Cloud HCM. «Si può fare molto per supportare la salute mentale della forza lavoro, e ci sono tanti modi in cui una tecnologia come l’AI può aiutare. Ma prima di tutto le organizzazioni devono mettere il benessere mentale delle persone tra le proprie priorità. Se riusciamo a far partire una riflessione aperta e costruttiva sull’argomento, sia a livello delle risorse umane che a livello dirigenziale, possiamo attivare un cambiamento. Ed è giunto il momento di farlo».
COMMENTI