Gli stereotipi di genere non abbandonano il mondo del lavoro

stereotipi di genereAncora non ci siamo: nascosti dietro la retorica dello smart working, che ha tenuto tutti occupati in questi mesi, permangono nel nostro Paese gli anacronistici stereotipi di genere che confinano le donne nel ruolo di “angeli del focolare”, devoti innanzitutto alla cura della casa e della famiglia.

Come avevamo accennato a inizio giugno, il lockdown ha evidenziato chiaramente il carattere evergreen dei gender bias in azienda e nella società, come rilevato dall’indagine di Fondazione Libellula di cui riportiamo qui, più nel dettaglio, i risultati.

Stereotipi evergreen: il genere discrimina ancora

Prima di segnalare i dati a nostro avviso più significativi in materia di stereotipi di genere, ricordiamo che la ricerca di Fondazione Libellula – condotta nella prima metà di maggio – ha coinvolto un campione di circa 1.000 persone a prevalenza femminile, attive in qualsiasi azienda e settore.

Ciò che è emerso innanzitutto è che il 30,9% delle donne intervistate ha dichiarato di essersi occupato prevalentemente dei figli durante la quarantena – contro l’1,4% degli uomini –, unitamente al persistere degli stereotipi riguardanti la suddivisione dei ruoli e la vita in famigliaÈ meglio tutelare e privilegiare il lavoro dell’uomo»; «È preferibile che sia la donna a occuparsi dei bambini»).

Notevole anche il divario tra la percentuale di donne che durante il lockdown non ha lavorato (20%) e quella degli uomini che a loro volta si sono trovati in cassa integrazione, congedo parentale o che hanno subito un’interruzione delle loro attività (9,9%).

Non è comunque solo la presenza di figli a fare la differenza quando si parla di stereotipi di genere in Italia: in loro assenza, infatti, le donne che al di fuori dell’orario lavorativo si sono dedicate ad attività definite “di intrattenimento” (musica, film, TV, giochi e hobby personali) sono state il 31,3% contro il 63,1% dei partner di sesso maschile.

Infine, i dati relativi alla vita famigliare indicano che gli uomini sono più propensi ad attribuire un carattere di priorità al loro lavoro (38,3% contro il 28,3% delle donne) mentre, in presenza di figli, si registra un calo della priorità che la popolazione femminile riconosce all’attività lavorativa, pari al 17,4% (fatto che, al contrario, sembra non comportare alcuna modifica per gli uomini).

Cosa serve a lavoratrici e lavoratori in futuro

Guardando avanti, donne e uomini si ritrovano concordi nell’individuare come strumenti utili ad affrontare l’ormai famoso new normal il proseguimento e potenziamento dello smart working, una maggiore flessibilità oraria, un più attento ascolto delle esigenze famigliari, strumenti ad hoc per entrambi i genitori e un supporto concreto alle famiglie con bambini.

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