Cambiamento organizzativo, i sabotatori interni

cambiamento organizzativoStiamo accumulando un vasto insieme di conoscenze, metodologie e strumenti utili a pianificare e realizzare dei progetti robusti e durevoli di cambiamento organizzativo.

Eppure, nel 70% dei casi, le aziende proprio non riescono a trasformare l’operatività quotidiana, le dinamiche disfunzionali di collaborazione e comunicazione interna, i rapporti di potere che minano autonomia e commitment a tutti i livelli dell’organizzazione. I progetti avviati si concludono quindi con il fallimento, lasciando nelle persone l’impressione di aver girato in tondo senza un vero motivo. Che cosa si ostina ad andare storto?

Ho potuto osservare che molto spesso il principale freno alla buona riuscita di un processo di cambiamento organizzativo sono – in modo consapevole o inconsapevole – le persone stesse. Sto parlando di ogni singolo lavoratore e non solo dei leader, benché questi ultimi possano più di altri fare la differenza, sia garantendo le giuste risorse sia – soprattutto – attraverso il loro buon esempio.

Prendendo le mosse da un articolo scritto per l’Harvard Business Review da Ron Carucci (co-founder e managing partner di Navalent), ho isolato quelli che possiamo chiamare i 3 elementi sabotatori dei processi di trasformazione interna.

Mai pensare “Cosa vuoi che sia

Il cambiamento è un duro lavoro, titolava qualche tempo fa uno dei nostri articoli. Sono d’accordo, soprattutto quando ci si riferisce a trasformazioni strutturali. Carucci indica proprio nella sottovalutazione del tempo e degli sforzi che un progetto di trasformazione organizzativa richiede ad ogni singolo lavoratore il primo ostacolo al suo successo.

Per evitare questo tipo di inciampo, le persone coinvolte in un processo di trasformazione organizzativa devono aver chiaro che:

  • l’obiettivo non può essere raggiunto attraverso singole azioni puntuali di cambiamento che non dialogano tra loro;
  • serve un approccio sistemico, radicato nella consapevolezza che ogni singola attività nell’organizzazione è connessa e interdipendente rispetto alle altre.

Fate un elenco di tutti i colleghi che vengono impattati da una vostra azione, oppure sperimentate cosa accadrebbe al vostro lavoro se una parte del vostro team sparisse all’improvviso: vi basta una giornata senza interagire con loro per vederne gli effetti.

Il cambiamento non si fa da lontano

Dalla dimensione corale appena emersa deriva il principio del nessuno escluso: quando si parla di trasformazione interna la quotidianità di tutti i membri dell’azienda viene impattata e ripensata, senza distinzioni gerarchiche.

Non ci sono ruoli che possono restare a guardare mentre altri portano avanti il cambiamento. In questo caso anche chi di solito ricopre un ruolo di “comando e regia” è atteso in prima linea, poiché dal suo impegno attivo dipende la motivazione, lo slancio, l’efficacia del resto della squadra, e quindi la possibilità di avere successo.

Questo significa che non solo i lavoratori ma anche i manager e i leader devono fare i conti con le loro capacità e con le skill che devono essere acquisite per agire il cambiamento.

Più i manager sono disposti ad agire e mettersi in discussione, ad ascoltare le loro persone e affiancarle nella trasformazione, più l’intero processo acquisisce consistenza e credibilità.

La prima cosa che un buon leader deve fare è sottoporsi ad un assessment e lavorare per colmare le lacune emerse. Deve poi garantire un seguito ai suggerimenti e alle difficoltà espressi dalle persone coinvolte nel processo, e deve incentivare il cambiamento riconoscendo i meriti del team e interessandosi all’andamento delle attività quotidiane e all’avanzamento verso gli obiettivi stabiliti.
Infine, il cambiamento richiede al leader di fare re-onboarding, tornando ad affiancare i collaboratori e mettendo a disposizione la propria expertise e il proprio know-how.

Il cambiamento è importante, un mantra poco efficace

Infine, un cambiamento impersonale, importante per il solo fatto di presentarsi come “verità superiore”, non è sinonimo di cambiamento efficace. Al contrario, dice Carucci, la trasformazione proposta in azienda deve diventare una questione personale per tutti i suoi membri.

La via più sicura per riuscirci è essere in grado di mostrare in modo chiaro e concreto i benefici che possono derivare dalla trasformazione in termini di migliori performance aziendali e individuali, valorizzazione dei singoli e dei loro talenti, opportunità di crescita e di carriera.

Per questo serve la capacità di immaginare in modo chiaro e definito il tipo di organizzazione che si vuole diventare in futuro – magari in modo partecipato, per alimentare fin da subito l’engagement di tutta la popolazione aziendale. Considerando poi il proprio punto di partenza (ovvero l’azienda al suo stato attuale), va scandito il percorso per raggiungere tale risultato, esplicitando ad ogni membro dell’organizzazione come il suo percorso di carriera sia, a conti fatti, intimamente connesso all’effettiva realizzazione del cambiamento organizzativo progettato.

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