Responsabilità aziendale: come e perché è tempo di cambiare

responsabilità aziendaleChe il vento stesse girando lo si era visto chiaramente già lo scorso agosto, quando la Business Roundtable (associazione che raduna gli amministratori delegati delle principali società statunitensi) aveva annunciato la pubblicazione del suo nuovo documento relativo ai principi e alle finalità di imprese e organizzazioni: era la fine ufficiale (almeno sulla carta) del predominio degli interessi degli azionisti nella definizione delle strategie di business, in nome di un nuovo standard di responsabilità aziendale che riconoscesse importanza a tutti gli stakeholder di un’impresa – quindi anche a clienti, dipendenti, fornitori e comunità.

Da allora l’attenzione verso un business sempre più umano non ha smesso di diffondersi, ma gli inciampi sono ancora notevoli: in ambito di innovazione, per esempio, gli IT manager sono ancora piuttosto propensi a lasciare in secondo piano le esigenze dei lavoratori, privilegiando invece il focus sugli obiettivi di business.

Quindi quanto è lontana ancora una trasformazione digitale people centric e la consapevolezza diffusa che gli investimenti tecnologici fatti senza tener conto dei bisogni delle persone sono destinati – nella migliore delle ipotesi – a non produrre alcun effetto? Ne abbiamo parlato con Giovanni Di Filippo, Presidente EMEA del Lenovo Data Center Group.

Come possiamo definire il business responsabile e da dove bisogna partire per essere davvero “aziende responsabili”?

«Dal mio punto di vista può essere definito responsabile il business che prende in considerazione il Giovanni di Filippoproprio impatto sull’ambiente, sui dipendenti e sulla società in generale, e poi valuta e adatta le sue azioni affinché influiscano positivamente su questi fattori. Adottando questo approccio un numero sempre maggiore di aziende sarà in grado di prosperare nella nuova normalità. La buona notizia è che ci sono stati segnali reali di progresso, con un maggior numero di organizzazioni che abbracciano la sostenibilità aziendale e la responsabilità sociale, e che vedono il passaggio a un’attività responsabile come un’opportunità piuttosto che un onere. La maggiore disponibilità ad adottare il lavoro flessibile, per esempio, dimostra come le organizzazioni stiano ora abbracciando uno stile organizzativo che mette al primo posto le esigenze dei dipendenti – la cui importanza è stata enormemente accresciuta (e forse definitivamente sancita) dall’epidemia di Covid-19. Detto questo, c’è ancora molto lavoro da fare. Il primato degli azionisti domina ancora il processo decisionale IT, il che significa che spesso viene privilegiata l’adozione di tecnologie che offrono il maggiore incentivo finanziario piuttosto che di quelle più funzionali alle attività e alle competenze degli utilizzatori, causando inefficienza e frustrazione. Un cambio di mindset nel settore è perciò fondamentale se vogliamo che sempre più aziende diventino responsabili, innescando una trasformazione positiva nella società in generale».

In che modo chi si occupa di innovazione in azienda può conciliare l’introduzione di tecnologie sempre più sofisticate e mancanza di competenze adeguate, per non rallentare la prima e non far sentire le persone sopraffatte dal cambiamento?

«Questo può apparire come un delicato e complesso gioco di equilibri, tuttavia la realtà dei fatti è molto semplice: l’uomo dovrebbe sempre venire prima di tutto quando si adotta una nuova tecnologia. A cosa servono infatti le più recenti e sofisticate soluzioni se nessuno in azienda sa usarle? Questo non significa che si debba sempre optare per le alternative più facili, ma solo che il processo di adozione della tecnologia deve essere inclusivo e tenere conto delle esigenze di tutti. Noi di Lenovo chiamiamo questo approccio “Smarter Technology For All: “smarter” significa garantire soluzioni seamless, agili, flessibili, adattabili in base alle necessità, che permettano di essere sempre connessi e di collaborare in modo semplice e immediato, tutelando sicurezza e privacy. “For all” sottolinea l’importanza di considerare back e front end prima di prendere decisioni legate all’IT. Questo implica, per esempio, il rivolgersi innanzitutto alle persone quando si tratta di scegliere una nuova tecnologia, e chiedersi in prima battuta non più “quanto costa?” ma “ha le giuste funzionalità per gli utilizzatori?“. Un’altra conseguenza dell’approccio “Smarter Technology For All” è l’impegno a garantire che tutti i processi di supply chain, formazione, change management, comunicazione, i KPI utilizzati per valutare la leadership, le strategie e le politiche organizzative, il monitoraggio delle nuove implementazioni tecnologiche siano coerenti con l’etica aziendale che mette al primo posto le persone. Un simile modo d’intendere l’innovazione non esclude affatto l’adozione di tecnologie d’avanguardia, e al contempo garantisce costantemente che le soluzioni implementate rispondano al bisogno dei lavoratori, in modo intuitivo e inclusivo, senza generare problemi più grandi di quelli che sono chiamate a risolvere».

Quanto è diffusa la consapevolezza che il successo della trasformazione digitale dipende da un approccio people centric, e quali dati oggettivi possono essere impiegati per convincere i più scettici?

«Lo studio Think Human che abbiamo condotto quest’anno ha mostrato che, se da un lato si registrano segnali di progresso per quanto riguarda la consapevolezza, da parte delle aziende, di quanto sia importante un approccio alla trasformazione digitale incentrato sulle persone, dall’altro c’è ancora molto lavoro da fare. L’indagine ha rilevato che solo il 6% dei manager IT considera l’utente come priorità assoluta quando effettua investimenti tecnologici. Non sorprende che – proprio a causa della scarsa attenzione riservata ai lavoratori – il 47% dei manager IT abbia riferito che i dipendenti faticano ad adottare nuovi software, e che il 48% abbia segnalato un risultato negativo connesso a implementazioni tecnologiche che hanno attivamente inibito la capacità operativa dei loro team. La nostra speranza è che lo studio Think Human illustri con successo quanto sia importante per il settore IT nel suo complesso svolgere il proprio ruolo attraverso il miglioramento dell’interoperabilità, un maggior rispetto degli standard, un più diffuso utilizzo di user analysis e automazione. Questo aiuterà le aziende a realizzare un futuro in cui la tecnologia sarà davvero incentrata sull’uomo».

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