Lo smart working è ancora un illustre sconosciuto per molte PMI italiane, che spesso non ne hanno una conoscenza approfondita oppure pensano non sia “cosa per loro”: convinzione errata, come dimostrano i primi casi di successo che iniziano a farsi strada non solo tra le grandi multinazionali ma anche in realtà più piccole.
È il caso di Eurojersey, azienda tessile del varesotto con circa 200 dipendenti, di cui 140 impiegati in produzione e 60 negli uffici, che ha adottato lavoro agile e nuove tecnologie per migliorare la produttività e il work-life balance. “La nostra mission è portare in tutto il mondo i nostri tessuti, e per farlo dobbiamo essere rapidi, flessibili, saper anticipare i trend, offrire prodotti e servizi personalizzati al massimo per ogni cliente. In una parola dobbiamo essere agili, anche nel nostro modo di organizzare il lavoro e gestire le persone” ha spiegato Matteo Cecchi, direttore commerciale di Eurojersey. Per questo, dalla fine di settembre, l’azienda ha raccolto la sfida dell’innovazione introducendo la possibilità di lavorare da casa un giorno alla settimana, opportunità colta – con scelta volontaria e in base a un accordo definito con dipendenti e RSU – da una decina di persone. Le ricadute sono positive sia per l’azienda (maggiore produttività e flessibilità nel seguire i clienti internazionali) sia per il benessere dei lavoratori, che beneficiano di una maggiore conciliazione con gli impegni familiari.
“L’accordo” ha aggiunto Cecchi “è frutto prima di tutto di un cambiamento di mentalità. Non abbiamo improvvisato: all’inizio abbiamo avuto difficoltà a trovare modelli e case history incentrati su PMI come la nostra. Anche le associazioni di categoria sono ancora impreparate a dare indicazioni ad hoc. Occorre farsi seguire da consulenti, non solo per tutta la parte contrattualistica, ma soprattutto per supportare una trasformazione che coinvolge moltissimi aspetti della vita aziendale“.
Il progetto di Eurojersey è stato perciò seguito dai consulenti Methodos, che hanno messo a punto un piano strutturato e condiviso con l’azienda partendo da una mappatura dei dipendenti che avrebbero partecipato alla sperimentazione; alla fine dell’anno, in base all’esperienza e ai risultati, lo smart working verrà esteso dalla divisione commerciale ad altre aree, tra cui marketing, amministrazione, programmazione della produzione, acquisti, ufficio stile. Altra fase importante è stata l’incontro con i vertici aziendali e i responsabili dei vari reparti, per capire a quali situazioni fosse realmente possibile e vantaggioso applicare lo smart working, ma soprattutto per coinvolgere e formare le figure chiave che avrebbero poi dovuto trainare il cambiamento in azienda.
“In Italia le aziende, specialmente le PMI, rischiano di interpretare lo smart working in modo molto vecchio e paternalistico, cioè come semplice telelavoro o come ‘premio‘ per qualche dipendente meritevole” ha dichiarato Maria Vittoria Mazzarini, esperta di Smart Working di Methodos. “Bisogna superare questo approccio e intendere il lavoro agile come opportunità di business e driver di competitività. Un’opportunità che va colta tenendo conto delle caratteristiche peculiari di ciascuna azienda, piccola o grande che sia: analisi preliminare, incontri e formazione per condividere con il personale ogni step e, infine, monitoraggio dei risultati sono i passi imprescindibili che ogni progetto di smart working deve compiere per concludersi con un successo“.
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