Diversità: opportunità per le aziende e risorsa contro il Covid-19

diversitàChe cosa accade esattamente quando mettiamo insieme persone diverse nelle aziende? Quale scintilla fa esplodere creatività e innovazione? Abbiamo sempre considerato un unico modo di associare un talento ad un compito specifico: assegnare i laureati più promettenti ai lavori più difficili.

Ma la globalizzazione, la potenzialità di una connessione internet in tutto il mondo, l’accesso a background socio-culturali diversi nella scelta dei nuovi assunti offrono oggi una vasta possibilità di accesso alla diversità, se non addirittura l’opportunità di osservare il comportamento di migliaia di persone e identificare coloro che mostrano la massima attitudine nelle abilità cognitive che il compito richiede.

Siamo propensi a credere che le persone più intelligenti e meglio addestrate in una determinata disciplina – gli esperti – siano anche le più qualificate per risolvere un problema specifico. E in effetti spesso è così. Quando falliscono, come talvolta accade, la nostra indiscutibile fiducia nel “principio di abilità” ci porta a immaginare che dobbiamo trovare altri esperti migliori con livelli di formazione simili. Ma è probabile che il nuovo team di esperti, formatosi nelle stesse rinomate scuole o aziende, come il gruppo precedente applichi gli stessi metodi al problema, condivida gli stessi pregiudizi, presenti gli stessi punti ciechi e le stesse tendenze inconsce. Per questo è ipotizzabile che, allo stesso modo, fallisca o che comunque impieghi un tempo eccessivamente lungo per la risoluzione del problema.

La diversità ai tempi del Covid-19

Nell’autunno del 2011 la rivista “Nature Structural & Molecular Biology” ha pubblicato un documento rivelando che – dopo oltre un decennio di sforzi – i ricercatori erano riusciti a mappare la struttura di un enzima usato da retrovirus simili all’HIV. Il risultato è stato ampiamente visto come una svolta, ma c’era qualcos’altro di sorprendente nell’articolo.

Tra tutti gli scienziati che avevano contribuito alla scoperta c’era Foldit Void Crushers Group, un gruppo di appassionati di videogiochi. Foldit era stato creato da un gruppo di scienziati e game designer dell’Università di Washington, che aveva chiesto a dei videogiocatori – alcuni ancora studenti delle scuole medie inferiori e ben pochi con un background in scienze o microbiologia – di determinare il ripiegamento proteico negli enzimi, ovvero il processo molecolare attraverso il quale le proteine ottengono la loro struttura tridimensionale.

Nel giro di poche ore migliaia di persone si misero a competere o a collaborare, e dopo tre settimane riuscirono dove microbiologi e computer avevano fallito. Gli appassionati di videogiochi, evidentemente, avevano una capacità molto sviluppata di riconoscere modelli e una forma innata di ragionamento tridimensionale che mancava a molti biologi.

Veniamo ai giorni nostri e al Covid-19. EteRNA, un esperimento non distante da Foldit, è un videogioco simile a un puzzle e allo stesso tempo una piattaforma di ricerca. La comunità di giocatori di EteRNA è costituita da una grande varietà di persone diverse per età, provenienze e background, e si è dimostrata in grado di sviluppare nuove forme con cui utilizzare una molecola estremamente potente – l’acido ribonucleico (RNA) – fornendo un contributo significativo in settori come la biochimica, la diagnostica o la terapia (per combattere cancro, tubercolosi, malaria, ecc.).

Associa talento e compito con un’efficienza eccezionale, non basandosi né sui CV né sulla capacitàEteRNA 1 di selezione, ma attraverso le migliaia di dati generati da un gioco. Ad oggi, oltre 100.000 utenti hanno aderito e giocato.

EteRNA quindi rappresenta un ripensamento radicale di una delle ipotesi centrali del capitalismo, quella secondo cui il lavoro è meglio allocato attraverso uno stile gestionale di comando e controllo. Al contrario, fa affidamento su una qualità – la diversità – che è stata tradizionalmente sottovalutata. Anzi, prima di Internet, molto difficile da individuare.

Il Covid-19 non è altro che un pacchetto di RNA, circondato da una capsula di proteine. EteRNA potrebbe rappresentare un’opportunità nella lotta contro il virus, ponendosi una sfida tutt’altro che banale: sviluppare un vaccino sicuro contro il Covid-19 in un tempo utile affinché possa fare la differenza.

Lo scorso 18 marzo è partita la sfida con cui EteRNA si prefigge di contribuire anche allo sviluppo di Fight Covid-19antivirali e migliorare la diagnostica per contrastare l’epidemia. Verranno attivati nuovi laboratori e i progetti vincitori saranno testati sperimentalmente dagli scienziati. Per raggiungere questo obiettivo è fondamentale contare sull’aiuto della comunità di giocatori esperti già esistente, ma allo stesso tempo portare a bordo nuovi giocatori.

Contestualmente è stata avviata una campagna di raccolta fondi per rendere EteRNA fruibile da mobile, migliorarne l’onboarding dei giocatori grazie all’assunzione di nuovi designer e sviluppare dei curricula educativi coinvolgendo gli studenti – forzatamente a casa da scuola – in progetti di apprendimento digitale.

La “distanza dal campo”

Anche InnoCentive, fondata nel 2000 dalla società farmaceutica Eli Lilly, ha avviato lo scorso 20 marzo le prime sfide destinate a risolvere problemi specifici legati al Covid-19. In homepage troviamo questo invito: «Time is of the essence, more people and minds looking at the problems surfaced by the Coronavirus pandemic is critical. Tell your colleagues and friends that may now be home and quarantined while waiting to get back to work to join us and become part of the Internet of Prepared Minds (IoPM)».

InnoCentive ha costruito il suo modello di business sulla capacità di fornire ai propri clienti una risposta intellettuale altamente diversificata. Laboratori di ricerca e sviluppo, così come altre aziende dei settori più disparati, affidano alla sua bacheca online sfide alquanto difficili. La bacheca è frequentata da circa 400.000 tra scienziati professionisti e videogiocatori appassionati provenienti da circa 200 Paesi. Chiunque può pubblicare una soluzione: se funziona, l’individuo riceve una ricompensa generalmente dell’ordine di decine di migliaia di dollari.

InnoCentive afferma che circa l’85% dei problemi è stato risolto, ma particolarmente interessante è chi risolve i problemi: se da un lato oltre il 60% dei “solutori” di InnoCentive vantano un master o un dottorato di ricerca, dall’altro quasi il 40% non li possiede. Tra i solutori più prolifici ci sono stati lavoratori di altri settori che non possedevano una laurea così come un tuttofare canadese che aveva abbandonato il suo programma di dottorato in Fisica delle particelle per prendersi cura dei genitori: in entrambi i casi non avrebbero mai potuto accedere ad un incarico ufficiale per mancanza di requisiti. In altre parole, le aziende che adottano un modello tradizionale stanno rinunciando al 40% delle soluzioni con cui potrebbero rispondere alle proprie sfide.

Secondo una ricerca condotta dalla Harvard Business School, esiste una correlazione positiva tra soluzioni di successo e la “distanza dal campo”. Detto diversamente: meno un risolutore è esposto alla disciplina in cui si presenta il problema, più è probabile che lo risolva, perlomeno in alcuni casi. Ne derivano implicazioni attuabili: il modo in cui allochiamo il capitale intellettuale e come gli permettiamo di allocare se stesso su progetti come InnoCentive o EteRNA. Quindi appare evidente – e lo dimostra un crescente numero di ricerche – che gruppi diversi sono più produttivi. La diversità sta diventando un imperativo strategico per differenti realtà, aziende in prima fila.

La diversità per le aziende

A questo punto diventa più chiaro il ruolo che la diversità può svolgere all’interno delle organizzazioni. Più un’azienda promuove la diversità e più circola creatività; più è in grado di sviluppare una cultura inclusiva, più i dipendenti riescono a esprimere al massimo il proprio potenziale e a generare idee innovative e vincenti; più un ambiente è inclusivo e maggiormente attrae i migliori talenti del mercato, i quali favoriranno a loro volta un’azienda più fertile. E così via.

Se, nelle sedi di alcune multinazionali, guardiamo i quadri appesi a rappresentazione del board, ancora oggi vediamo spesso solo uomini bianchi (probabilmente eterosessuali, perfettamente abili e provenienti dallo stesso continente). Essi raggiungono tra di loro più facilmente soluzioni condivise ed è presumibile che i loro incontri di lavoro durino un tempo più breve rispetto a tavoli in cui si siedono persone di altrettanto talento ma diverse tra loro: un uomo bianco, una donna lesbica di colore, un uomo musulmano, una persona disabile… In questo secondo caso le riunioni saranno certamente più faticose e ci vorrà più tempo per raggiungere un punto d’intesa. Ma è molto probabile che questo accordo sia non solo più inclusivo ma anche vincente nel medio termine, perché tiene conto dei punti di vista di persone con background molto diversi.

Dove sta la fatica? Ognuna di queste persone dovrà arrivare più preparata in riunione, consapevole del fatto che troverà punti di vista molto diversi dai propri e che dovrà saper far fronte ad obiezioni più sfidanti rispetto a quelle che – probabilmente – persone con lo stesso background potrebbero porre.

Si tratta di crescere grazie al continuo confronto tra punti di vista differenti. Si cresce come individui e si cresce come squadra, come azienda. Il prezzo da pagare è un processo decisionale più lento, una maggiore fatica nel trovare degli accordi. Ma il vantaggio è molto significativo, come Deloitte, McKinsey, Boston Consulting Group e molte altre società di consulenza ci confermano: una forte spinta verso creatività e innovazione – prima leva di crescita per molte aziende – unita ad una maggiore capacità di attrarre i talenti migliori, il che si tramuta in risultati finanziari tangibili.

In conclusione, che cosa occorre ad un’azienda affinché possa capitalizzare le soluzioni che solo un team diverso offre? L’organizzazione deve saper creare consapevolezza attorno al tema dell’inclusione e deve essere in grado di promuoverla costantemente al proprio interno attraverso percorsi di formazione, coaching e sviluppo di progetti. Solo una strategia a 360° di D&I (diversità e inclusione) consentirà a gruppi di lavoro con background differente di sviluppare processi decisionali molto più performanti e maggiormente in grado di rispondere alle sfide quotidiane delle aziende, in contesti così mutevoli e vulnerabili come quelli attuali.

Non è facile conoscere in anticipo quali diversi background, esperienze educative o inclinazioni intellettuali potrebbero produrre una svolta nelle sfide che qualunque gruppo si pone. Proprio per questo dovremmo pensare alle nostre differenze come a forme di talento che potrebbero sia dare una svolta alle nostre aziende sia mettersi al servizio della comunità per scopi collettivi di ineguagliabile valore.

[Liberamente ispirato a testi di EteRNA, InnoCentive, Joi Ito e Jeff Howe]

Claudio Guffanti
Founder di Unlimited Views

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