Waiting in the sky: il futuro delle human resources

human resources future“Spesso nel giudicare una cosa ci lasciamo trascinare più dall’opinione che non dalla vera sostanza della cosa stessa”. Opinioni e pregiudizi, talvolta inconsci, sono spesso alla base delle nostre valutazioni su fatti e persone, con ricadute non solo nella sfera privata ma anche in quella lavorativa e pubblica.

Senza voler fare politica o abbandonarci al buonismo, resta il fatto che discriminare le diversità ‒ siano esse relative alla nazionalità, all’orientamento sessuale, al credo religioso, ecc. ‒ è oggi uno dei peggiori autogol che un’azienda possa fare, tanto in termini di talent attraction quanto in termini di capacità di mantenersi ricettivi al cambiamento e all’innovazione. Ecco perché diversity & inclusion non possono mancare tra i valori di un brand e nella strategia di ogni HR manager: ne abbiamo parlato con Ernesto Marinelli, Senior Vice President e Head of Human Resources for Global Customer Operations di SAP.

Accendere l’innovazione con la diversity

Diversity è sempre stata una componente della mia vita, da una parte perché sono un italiano che vive in Germania, dall’altra perché sono gay” ha esordito Ernesto. “Personalmente ho sempre avuto una self-confidence tale da non voler mai lavorare per aziende in cui non avrei potuto essere me stesso né parlare della mia storia personale. Ciò che siamo è parte integrante del talento che possiamo mettere a disposizioneErnesto_Marinelli human resources dell’azienda per cui lavoriamo, quindi ritengo davvero insensato che le persone debbano essere costrette a mentire per paura di essere discriminate e penalizzate”.

Più nello specifico, ostacolare la diffusione di un approccio open minded negli ambienti di lavoro significa privarsi della possibilità di innescare un circolo virtuoso win-win per aziende e dipendenti. “Gli effetti positivi di una cultura aziendale orientata all’inclusione e al rispetto delle diversità interessano principalmente 3 ambiti” ha spiegato Ernesto. “Il primo riguarda gli effetti finanziari, squisitamente di business: le aziende che adottano una strategia di diversity & inclusion hanno percentuali di margine più alte, dal momento che garantire ai lavoratori la tranquillità di non dover sprecare energie a costruire storie su ciò che sono o che non sono li mette in condizione di dare il meglio di loro stessi, con ricadute positive sulla qualità delle loro performance. Il secondo” ha proseguito Marinelli “riguarda la possibilità di avere successo nella conquista dei talenti: non abbracciare la diversity equivale infatti a limitare ulteriormente il bacino già non molto ampio di talenti disponibili sul mercato. Il terzo aspetto, infine, è morale: prendendo come esempio SAP, non si può nutrire l’ambizione di essere la più open minded tech company al mondo senza impegnarsi a 360 gradi per cercare di trasformare la società”.

A livello di competitività e successo nel mercato attuale, poi, non bisogna trascurare il fatto che la diversity è un driver potente di trasformazione e innovazione, poiché contribuisce a scardinare il conformismo e stimola il superamento di limiti e barriere. Ma, a proposito di cambiamenti, quali competenze e qualità personali diventano fondamentali in un simile scenario?

Da analyst a catalyst: il riscatto dell’intelligenza emotiva

In passato – all’interno di SAP ma non solo – quando si toccava il tasto “individuazione di skill e talenti”, il focus delle aziende era prevalentemente rivolto alle competenze tecniche e all’intelligenza analitica. Nel corso dell’ultimo decennio tuttavia – complice l’avanzata di digitalizzazione e automazione – l’attenzione si è progressivamente spostata sulla valorizzazione di soft skill come l’intelligenza emotiva: “In SAP oggi puntiamo molto sui cosiddetti catalyst, ovvero quelle persone che si distinguono soprattutto per due abilità particolari: riconoscere nuovi trend di human resources emotional intelligencemercato, autocreando skill su di essi, e agire come influencing leader, ovvero promuovere il teamwork e la trasformazione dei gruppi di lavoro di cui fanno parte”, ha spiegato Ernesto.

Altre skill che la digital transformation sta portando alla ribalta, oltre all’intelligenza emotiva, sono l’adattabilità e la capacità di imparare, disimparare e imparare di nuovo al ritmo di un mondo che cambia con una rapidità estrema, insieme alla technology savviness, intesa come la capacità di riconoscere in che modo la tecnologia possa avere un impatto positivo sul business (in particolare in termini di miglioramento dell’experience offerta e di creazione di nuovi business model a partire dai dati a disposizione).

Ma facciamo un passo indietro e soffermiamoci un attimo sull’intelligenza emotiva: di cosa si tratta? “L’intelligenza emotiva è oggi un elemento differenziante e un vantaggio competitivo rispetto al diffondersi di tecnologie e macchine intelligenti” ha sottolineato Marinelli. “L’intelligenza emotiva, inoltre, ha un effetto positivo su tutto, dalle relazioni con i colleghi a quelle con i clienti, fino alla capacità di influenzare i processi decisionali attraverso la creazione di rapporti fondati su trasparenza e fiducia”.

Passando a considerare le skill che compongono l’intelligenza emotiva, Ernesto Marinelli ne ha individuate cinque: “La prima è la self-awareness, ovvero la consapevolezza dei propri punti di forza, debolezza e dell’impatto che possono avere sugli altri. La seconda è la self-regulation, cioè la capacità di comprendere in quali circostanze l’esternazione delle proprie emozioni può facilitare e rendere più efficace la comunicazione, e quando invece rischia di essere un ostacolo controproducente” ha spiegato Ernesto. “La terza è quella che io chiamo ‘empathic compassion’, che permette di far capire all’altro che non abbiamo semplicemente compreso ciò che ci sta dicendo, ma che vogliamo aiutarlo. La quarta è una competitività rivolta al raggiungimento di un obiettivo più che a ‘sconfiggere’ qualcuno, quindi mai disgiunta dalla collaborazione, centrale all’interno di ogni intelligent enterprise. La quinta, infine, riguarda le social skill, ovvero la capacità di relazionarsi e interagire con gli altri senza imbarazzo o ritrosie di sorta”.

Wow moments: esperienza tra tecnologie e human touch

Stando a quanto sostenuto da più parti, il futuro delle aziende si prospetta all’insegna di human centricity e tecnologia, indipendentemente dal settore di appartenenza. In un simile scenario, l’esperienza offerta e la sua gestione diventano centrali e fondamentali per il successo delle organizzazioni, insieme alle quali clienti e dipendenti si aspettano di vivere veri e propri wow moments.wow moments human resources

L’experience management può diventare un’opportunità per unire tecnologia e intelligenza emotiva, attraverso le rilevazioni di sentiment che riceviamo continuamente da chiunque interagisca con il brand” ha evidenziato Marinelli. “A tal proposito, in SAP tutti gli anni svolgiamo una employee survey che ci permette di rilevare il sentiment dei dipendenti in relazione a diversity & inclusion, pari opportunità, loyalty, ecc., informazioni che vengono poi correlate con i dati operazionali in nostro possesso per rilevare gli eventuali experience gap e gli aspetti più problematici. Machine learning e intelligenza artificiale possono davvero fare la differenza quando si tratta di analizzare i dati raccolti, individuare le cause dei problemi, le azioni più efficaci per risolverli e monitorare costantemente l’andamento sui vari touchpoint tra dipendenti e aziende, in modo da poter promuovere un effettivo e positivo cambiamento nel modo in cui i collaboratori percepiscono e valutano il brand” ha continuato Marinelli. “Queste attività di analisi e monitoraggio ci hanno chiaramente dimostrato che ci sono, durante tutto l’employee lifecycle, quelli che vengono definiti ‘moments that matter’, durante i quali è indispensabile garantire una wow experience”.

HR manager pronti al decollo

Le aziende cambiano, i lavoratori e le loro esigenze si trasformano, il mercato si fa via via più competitivo: in che modo tutto questo impatta e impatterà sulla funzione HR? “Negli ultimi vent’anni la funzione HR ha conosciuto una trasformazione incredibile, che penso di poter sintetizzare human resources evolutioncome passaggio dal back-office al front-office, ridefinendo la nostra mission in base a quattro punti fondamentali: architettare esperienze, creare e diffondere una cultura di innovazione all’interno delle aziende, contribuire alla sostenibilità del business promuovendo un ambiente di lavoro fondato su fiducia e collaborazione, e favorire la diffusione delle right skill” ha dichiarato Ernesto.

E se la mission cambia, le competenze dell’HR manager devono mutare di conseguenza: “Tra le skill indispensabili per riuscire a traghettare ogni giorno le aziende nel futuro metto innanzitutto l’influencing leadership; non può mancare poi l’entrepreneurship, ovvero la capacità di valutare l’andamento del business secondo una visione a breve e lungo termine; project management e business consultancy; velocità e semplicità nel progettare e combinare servizi capaci di rispondere ai problemi di oggi; capacità, infine, di essere ‘three steps ahead’, combinando intenzionalità e pensiero strategico” ha concluso Marinelli.

Per l’HR manager si prospetta quindi un ruolo centrale nella realizzazione dell’intelligent enterprise, promuovendo da un lato l’utilizzo dei dati per favorire trasparenza, personalizzazione e competitività, dall’altro contribuendo alla diffusione di una nuova cultura aziendale improntata alla collaborazione e alla creazione di una beautiful people experience.

Emma Pisati
HEI Human Experience Insights

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