La cultura aziendale si costruisce insieme

cultura aziendaleAvete presente tutto quello che sapevate sui valori della vostra azienda, sugli obiettivi, sul clima e sulle relazioni interne ed esterne? Se non lo avete già fatto durante la pandemia, allora dimenticatelo adesso. Ricominciando da capo.

Ogni azione che viene messa in atto ora avrà un impatto determinante sul presente e sul futuro dell’azienda. Quando l’emergenza sarà finita, le persone ricorderanno tutto ciò che l’impresa ha saputo o non ha saputo gestire sul piano organizzativo, culturale, sociale e sanitario. Pensate all’11 settembre 2001. Dove eravate, con chi, cosa stavate facendo nel momento in cui avete appreso la notizia dell’attentato terroristico? Potremmo scommettere che ce lo ricordiamo tutti perfettamente. La nostra mente funziona così: il trauma fissa in essa anche tutto il contesto. La pandemia che ci siamo inaspettatamente trovati ad affrontare, come ogni crisi che si rispetti, ha portato a una transizione da cui non è più possibile tornare indietro. Tutto quello che ci dava sicurezza – come le relazioni tra i colleghi, la modalità di gestione del personale, i comportamenti dei manager – è inevitabilmente cambiato. L’emergenza sanitaria ci ha richiesto un rapidissimo mutamento di abitudini: certamente, le realtà con una cultura aziendale ben definita e radicata hanno attutito meglio il colpo.

Ma la crisi obbliga comunque ad uscire dalla propria zona di comfort. Non a caso, il cambiamento spesso viene associato al lutto, dal momento che richiede le stesse risorse per essere elaborato. Se esso, poi, è collettivo, occorre compiere lo sforzo di trovare una strada comune per affrontarlo. Il primo passo è senz’altro comunicativo: sapere che anche gli altri vivono le nostre stesse difficoltà ci aiuta a sentirci meno soli. Sappiamo bene che, ora, la salute dei collaboratori è la priorità. Prendersi cura di sé e degli altri diventa la base del rinnovamento di ogni cultura aziendale. Ciò non comprende solo lo stato di salute fisica, ma anche quella emotiva. Ansia, stress, disturbi del sonno, difficoltà cognitive sono purtroppo diventati sintomi comuni di un malessere che colpisce quanto il Covid-19.

Siamo davvero pronti per la “fase 3”?

Nella “fase 1” tante aziende si sono preoccupate in primo luogo del benessere fisico ed economico dei propri dipendenti. Lo sforzo è stato tutto concentrato sul “qui ed ora”: misure di sicurezza, sanificazione degli ambienti, attivazione, ove possibile, del lavoro a distanza, garanzie economiche. È stato tutto talmente improvviso e inaspettato che difficilmente qualcuno avrebbe potuto opporsi alle decisioni. La “fase 2”, però, ha visto aumentare i bisogni e le richieste. Essa ci ha mostrato come l’emergenza si sarebbe protratta a tempo indeterminato. Ci siamo resi conto che alcuni settori continuavano a crescere, altri erano in forte crisi. Abbiamo capito che le scuole sarebbero rimaste chiuse, che lavorare da casa era comunque possibile, che ridurre gli spostamenti ha giovato al tempo per sé e per la famiglia, ma anche all’ambiente. Abbiamo cominciato a contare meno vittime e, quindi, a scovare qualche aspetto positivo della nuova condizione. L’essere umano è per natura estremamente adattabile alle circostanze: in fondo, è pur sempre un animale che rientra in un contesto biologicamente evolutivo.

Un punto di non ritorno

La crisi ha enfatizzato alcuni aspetti della cultura aziendale più legati all’impatto sulla società. Basta guardare molti dei nuovi spot pubblicitari che sono stati girati in questo periodo. Quasi tutti mettono l’accento sulla costruzione di una “nuova umanità”. Saremo davvero persone migliori? Difficile a dirsi ora, anche se è auspicabile. Di certo, le aziende difficilmente potranno tornare indietro rispetto ai comportamenti virtuosi attuati. Dallo smart working alla digitalizzazione, dal sostegno alle famiglie sino alla sicurezza dei luoghi di lavoro, dalla comunicazione alla condivisione di strategie, si sono compiuti passi da cui, d’ora in poi, sarà difficile prescindere.

Analizzate queste situazioni, ora bisogna affrontare la “fase 3”. Come si fa a non disperdere tutto questo? Nessuna rivoluzione acquisisce un senso se non la si governa e non si mettono a frutto gli insegnamenti. Siamo certi che la pandemia avrà messo in evidenza talenti inaspettati, competenze trasversali inedite, capacità finora non considerate utili sul luogo di lavoro. Ma nella “fase 3” non c’è più spazio per l’improvvisazione: è il tempo dell’organizzazione. Ci sono aziende che hanno vissuto l’euforia di sentirsi un po’ eroiche: pensiamo a quelle che hanno convertito la produzione o che già prima producevano mascherine, respiratori, medicinali, presidi sanitari e di sicurezza. Facilmente i lavoratori sono in preda ad una certa euforia, che rischia di esaurirsi bruscamente. Al contrario, pensiamo a chi ha perso ogni motivazione per andare avanti: operatori del turismo, dei servizi, che si sono trovati a dover ricorrere agli ammortizzatori sociali, che hanno davanti a sé una lunga salita prima di ritornare ad una parvenza di normalità. Situazioni opposte che rischiano di implodere, per motivi del tutto diversi. Per ognuno bisogna riscrivere obiettivi, engagement, retention, cultura aziendale. Come?

Come un master può aiutare a riscrivere la cultura aziendale

Il nuovo programma digitale Lifeed Crisi di Life Based Value è in grado di sostenere le aziende nella delicata fase di ripresa. Grazie ai moduli formativi esso permette ai partecipanti non solo di elaborare la crisi, ma anche di interrogarsi sulle life skill che ha fatto emergere. Raggiunta la consapevolezza, grazie a un diario individuale che tiene il passo della formazione vera e propria, si possono condividere idee, sensazioni e stati d’animo in una stanza comune di discussione. Una nuova visione, una rinnovata cultura aziendale possono così andare costruendosi proprio a partire da ciò che i collaboratori esprimono. La paura, per esempio, non permette il ragionamento lucido. Ammetterla e poi condividerla è il passo per superarla. Le emozioni negative, se non affrontate ed elaborate, possono diffondersi in azienda proprio al pari del virus.

I dati emersi dalla survey che Life Based Value ha sottoposto a circa 1.500 lavoratori e lavoratrici parlano chiaro: il 69% delle persone si aspetta che, per favorire il rientro, la propria azienda dia spazio ai pensieri e agli stati d’animo delle persone. Il 62% dichiara di provare preoccupazione all’idea di “tornare alla normalità”, perché il futuro sembra ancora incerto. Il 68% ritiene fondamentale la dote di ascolto nel manager. Lifeed Crisi è lo strumento ideale per governare il cambiamento: mette tutta la popolazione aziendale in condizione di apprendere nuove competenze chiave e di co-creare, in logica bottom up, una nuova cultura aziendale. Ogni collaboratore si trova al centro del processo e si trasforma in motore di cambiamento.

Il percorso formativo è ispirato al Life Based Learning: nella transizione le persone tirano fuori competenze ed energie inaspettate, e le aziende hanno l’opportunità di migliorare i processi e di innovare. Esso, inoltre, favorisce la riduzione dello stress: le persone si raccontano, condividono e mettono a fuoco paure, incertezze e desideri, trovando nuovi punti di riferimento dentro di sé. Ogni modulo si conclude con l’invito a contribuire alla “narrazione collettiva” insieme ai colleghi, per confrontarsi e arricchirsi reciprocamente, generare contenuti per l’azienda, a partire dai propri bisogni, riflessioni, idee. I partecipanti diventano così anche “autori” del cambiamento, per restituire valore alla propria azienda: se la pandemia ci ha insegnato una cosa, è che “nessuno si salva da solo”.

Articolo a cura di Life Based Value

Per maggiori informazioni su Lifeed Crisi e per partecipare con la tua azienda, visita il sito

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