Remote working, qualcosa è cambiato

remote workingTra difficoltà e vantaggi, i lavoratori italiani proseguono il loro viaggio verso lo smart working, complice anche questa seconda ondata del virus e le restrizioni che essa comporta. Per monitorare il livello di maturità raggiunto dalla filiera del risk e insurance management nel rapporto con questa nuova modalità di lavoro, Anra e Aon hanno svolto una nuova ricerca, intitolata Le modalità lavorative dopo il lockdown: quale smart working?

Remote working e flessibilità: il cambiamento inizia a funzionare

In linea di principio, i lavoratori nel nostro Paese stanno apprezzando il lavoro da remoto e la flessibilità lavorativa: potendo scegliere, il 58% bilancerebbe durante la settimana giornate in ufficio e remote working, con una leggera prevalenza di quest’ultimo.

Pianificazione, gestione e controllo delle attività a distanza sembrano non costituire più una grande difficoltà: se durante il lockdown erano al primo posto tra le preoccupazioni dei rispondenti, ora il dato è dimezzato (17%). Superati anche i problemi di produttività, che passano dal sesto al nono posto.

Rispetto a quanto rilevato dalla precedente ricerca Anra-Aon, permangono – e in alcuni casi si rafforzano – le criticità connesse all’organizzazione e/o alla comunicazione interna (27%) e quelle relative allo stato d’animo e all’engagement dei lavoratori (26,7%). A percepire maggiormente queste difficoltà sono giovani e donne, con una percentuale maggiore rispetto al campione generale.

Per essere più precisi, al primo posto nella classifica degli aspetti negativi rimane la difficoltà nel limitare le ore dedicate alle attività lavorative (39%, in calo comunque rispetto al 58% registrato tra marzo e aprile), seguita dalla difficoltà di interazione e confronto con il team di lavoro e/o con i colleghi (33%) e dal senso di solitudine (31%), entrambi risaliti di una posizione rispetto alla prima indagine.

Lavoro da remoto e in presenza, l’alternanza è gradita

Tra maggio e settembre, con la possibilità di alternare remote working e presenza in ufficio, la percezione dei vantaggi da parte dei lavoratori è rimasta invariata: miglior work-life balance (43%), in particolare secondo gli under 35 (57%); ottimizzazione del tempo (40%); autonomia nella gestione di orari e carichi di lavoro (34%), in particolare secondo gli over 56 e il campione maschile; risparmio economico, evidenziato dal 44% del campione under 35 e sottolineato anche dalle lavoratrici.

«Per essere competitivi nello scenario odierno, così mutevole e dinamico, è necessario un cambiamento culturale più profondo: adattarvisi non basta più. La fiducia che le nuove generazioni e le rappresentanze femminili ripongono negli impatti positivi di una rivoluzione smart ha come contropartita una disillusione nei confronti delle organizzazioni, associata alla ritrosia culturale del top management» ha commentato Gabriella Fraire, consigliera Anra. «Cultura e leadership rappresentano due facce della stessa medaglia: il leader è colui che crea, diffonde e gestisce la cultura di un’organizzazione, ma rappresenta anche il principale ostacolo al cambiamento, poiché tende alla conservazione dello status quo. E se da una parte questo è il segnale di una generazione più propensa a mettere in secondo piano gli impatti negativi individuali in nome di un bene collettivo per una prospettiva futura più sostenibile, dall’altra le imprese si trovano a dover lottare con le implicazioni psicologiche e i risvolti culturali che ne derivano».

Donne e giovani sono anche quelli che sembrano possedere tutte le caratteristiche che si stanno rivelando indispensabili per completare una vera transizione dal remote working allo smart working: capacità organizzative e gestionali, attenzione al benessere del lavoratore, spinta alla sostenibilità dell’ambiente di lavoro e dell’azienda.

Quale futuro attende il lavoro?

Chiamati a fare una previsione in un orizzonte temporale di 6 e 18 mesi, più della metà dei rispondenti (52%) prevede di continuare a lavorare in modalità mista, e solo uno su quattro (24%) ipotizza un completo rientro. Queste previsioni, tuttavia, diventano meno probabili man mano che si intensifica la seconda ondata pandemica, dal momento che la scelta di mantenere una prevalenza di remote working dipenderà in larga parte, secondo i rispondenti, dalla volontà di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (65%). Il graduale rientro in sede, invece, nel 48% dei casi viene attribuito alla generale ritrosia culturale del top management, una percentuale che sale al 65% negli under 35.

«Credo si andrà via via verso una leadership collaborativa, che abolirà ruoli e gerarchie statici e sarà in grado di perseguire risultati ambiziosi per l’azienda e la comunità in cui opera» ha concluso Enrico Vanin, AD di Aon. «I leader di domani dovranno essere adattabili e proattivi al cambiamento, curiosi di sperimentare l’inedito e dotati di social intelligence. Quest’ultima skill permette di ascoltare empaticamente le persone con cui si lavora, di sostenerle e spingerle ad esprimere il loro pieno potenziale».

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