Che cosa vuol dire trasformare lo smart working in filosofia organizzativa? In che modo le aziende stanno riuscendo a mettere a sistema le sperimentazioni di lavoro agile connesse alla gestione dell’emergenza, rendendole parte costitutiva della normalità?
Dopo avervi raccontato il caso di WindTre, oggi vogliamo approfondire un’altra storia di smart working “non emergenziale”: quella del gruppo MeglioQuesto, attivo nel mercato della customer experience e specializzato in customer acquisition e management.
La società – composta da più di 3.500 lavoratori e lavoratrici operativi in oltre 40 città italiane – ha avviato la fase di sperimentazione del proprio progetto di lavoro agile il mese scorso, avvalendosi della consulenza di Chiara Bisconti, esperta di lavoro agile e consulente per le risorse umane.
Proprio a lei – professionista che si occupa di smart working dal 2005 e promotrice della prima giornata del lavoro agile nel Comune di Milano, inaugurata durante il suo mandato nella giunta Pisapia – abbiamo chiesto di raccontare quali sono state finora le tappe seguite da MeglioQuesto nel suo percorso permanente di trasformazione verso un modello organizzativo e operativo sempre più flessibile. Ecco cosa è emerso.
Dall’ascolto trasversale alla sperimentazione
L’opportunità di sperimentare forme più avanzate e innovative di lavoro agile all’interno di MeglioQuesto ha trovato fin da subito nel presidente Felice Saladini il proprio principale sostenitore.
Con un simile commitment nei confronti del cambiamento, il terreno operativo su cui è intervenuta Chiara Bisconti si è rivelato molto favorevole al radicamento dei nuovi valori e modelli proposti con un obiettivo ben definito: «Lo scopo del progetto che stiamo realizzando è quello di redigere un contratto condiviso di lavoro agile, per rendere strutturale l’esperienza di smart working vissuta nel 2020 e dare a tutte le persone la concreta possibilità di organizzare attività, spazi e tempi di lavoro in base alle loro reali esigenze operative, permettendo a ciascuno di raggiungere i risultati in piena autonomia e con la massima soddisfazione».
Come ci ha raccontato Chiara, durante la scorsa primavera MeglioQuesto aveva già proposto un sondaggio alle proprie persone per raccogliere il loro punto di vista sui pro e i contro dello smart working: «Da quella prima operazione di ascolto era emersa una consapevolezza chiara e diffusa dei benefici che il lavoro agile offre ai lavoratori in materia di benessere individuale, maggiore comunanza di intenti tra colleghi, orientamento agli obiettivi. A questi si aggiungeva tuttavia un monito relativo alla necessità di mantenere e garantire dei momenti comunitari di confronto diretto».
L’ascolto e il dialogo con la popolazione aziendale sono una costante anche in questa nuova fase che, come abbiamo già detto, punta a far emergere nei prossimi 5 mesi le nuove linee guida dell’organizzazione. Il processo di trasformazione innescato si sviluppa dal basso e si nutre del contributo di tutti i soggetti coinvolti.
«In questi mesi siamo impegnati in attività di “confronto serrato” con un campione rappresentativo di tutte le personalità e professionalità presenti nel gruppo» ha spiegato Chiara Bisconti. «Si tratta di una fase indispensabile per ogni progetto di smart working che punta a introdurre un cambiamento reale ma soprattutto utile e funzionale all’operatività, alle responsabilità individuali e di team, agli obiettivi che l’organizzazione e le sue persone devono raggiungere».
Una guida verso l’agilità
Un elemento da sottolineare in questo percorso è che la flessibilità sarà l’elemento chiave anche del regolamento che verrà redatto a partire dalle esigenze e dalle esperienze di lavoratori e lavoratrici.
«Il documento finale che puntiamo a redigere» ha sottolineato Chiara «fornirà ai singoli e ai team non delle norme a cui attenersi rigidamente, ma una cornice organizzativa all’interno della quale ognuno potrà decidere in modo autonomo qual è la gestione ottimale dei tempi e degli spazi di lavoro dal proprio punto di vista. Si tratta di linee guida, regole di comportamento e di funzionamento generale della “nuova” organizzazione che gettano le basi per un maggior protagonismo delle persone quando si tratta di stabilire le condizioni migliori per portare a termine le attività e raggiungere gli obiettivi che ci si è prefissati. Per fare un esempio, suggeriamo alle persone di non trascorrere l’intera settimana solo in ufficio o solo in luoghi di lavoro alternativi, ma di ponderare quello che – di volta in volta e in base alle circostanze – è il “giusto mix” di lavoro in presenza e a distanza».
L’elemento in più che permette oggi di non considerare fantascienza un simile ragionamento è che i lavoratori, reduci dall’esperienza del 2020, sanno ormai piuttosto chiaramente ciò di cui si parla, e sono in grado di comprendere in modo profondo la portata della trasformazione richiesta per sviluppare una flessibilità che non sia solo una modalità di gestione dell’emergenza, ma un cambiamento radicale delle abitudini lavorative che ci hanno accompagnati finora.
Flessibilità nello spazio e flessibilità nel tempo
A proposito di abitudini rivoluzionate, Chiara Bisconti ha messo in evidenza una questione che ancora dobbiamo dirimere per raggiungere una modalità di lavoro davvero agile e flessibile: quella dei tempi di lavoro.
Se, da un lato, lavorare in spazi che non coincidono con il classico ufficio non genera più un particolare “turbamento” – a proposito di spazi, il percorso di trasformazione di MeglioQuesto comprende anche una riprogettazione delle sedi operative che porterà alla nascita di uffici ibridati a spazi aperti ai clienti –, più difficile sembra essere il passaggio a una gestione dei tempi di lavoro che non coincida con le canoniche otto ore consecutive al giorno o, anche peggio, all’operatività costante e al mancato riconoscimento del diritto alla disconnessione.
«Al tema degli orari di lavoro flessibili va dedicata un’attenzione particolare, perché si tratta ancora di un inciampo diffuso nel cammino che porta le organizzazioni verso l’agilità» ha sottolineato Chiara Bisconti. «Spesso la prima preoccupazione che accompagna la proposta di una trasformazione organizzativa in chiave agile e flessibile riguarda proprio il timore che questo comporti per le persone un concreto rischio di over-lavoro o uno smart working di facciata, coincidente nella sostanza al vecchio telelavoro».
La credibilità e l’effettività di ogni progetto di smart working non possono quindi prescindere dallo sviluppo di capacità di gestione intelligente del tempo oltre che degli spazi di lavoro, in primis attraverso l’acquisizione di capacità di pianificazione delle attività da svolgere e di costruzione di sistemi di obiettivi unitari, in base ai quali ognuno possa avere ben chiaro l’andamento complessivo, le singole task e le tempistiche da rispettare. A questo si può aggiungere l’introduzione di una fascia di reperibilità, che facilita da un lato lo svolgimento senza intoppi delle attività lavorative, dall’altro combatte la tendenza a credere che “lavorare fuori ufficio” sia sinonimo di “essere sempre a disposizione”.
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