Smart working, quello che forse non tutti sanno

È chiaro a tutti cosa s’intende quando si utilizza il termine smart working? Abbiamo ben chiari in mente i suoi effetti non solo sui tradizionali tempi e luoghi di lavoro, ma anche sulla cultura aziendale, sull’approccio del singolo alla propria attività, sugli stili di management e leadership? Se la risposta è sì, be’, repetita iuvant; se la risposta è no, o se le domande qui sopra hanno suscitato in voi qualche dubbio, può esservi d’aiuto soffermarvi sull’argomento prendendo le mosse da quanto emerso durante il nostro workshopChanging the smart working“.

Una prospettiva più ampia sul lavoro intelligente

Partiamo dal principio: smart working non è un inglesismo introdotto semplicemente per dare un nome più cool al lavoro da casa, né per indicare una specie di telelavoro 2.0. Questa interpretazione “in senso stretto”, anzi, complica le cose quando si tratta di interpretare e applicare correttamente i progetti di lavoro intelligente.

Emanuele_Lazzarini_smart_workingAmpliando un po’ la prospettiva, come spiegato da Emanuele Lazzarini di RWA Consulting, ecco che il panorama diventa più articolato e ricco, permettendo di scorgere nello smart working un cambiamento organizzativo vero e proprio, basato su tre pilastri: efficienza, diritti e doveri e performance. “Non si può quindi considerare solo dove si lavora, ma anche – e forse soprattutto – come vengono svolte le attività” ha sottolineato Emanuele.

L’ottica parziale che solitamente caratterizza le definizioni di smart working si rivela anche nella tendenza a considerarlo come un vantaggio e un beneficio riservato ai lavoratori in termini di work-life balance e, all’opposto, come un rischio per il business aziendale. Tuttavia, come ci ricorda anche la legge 81 – che in Italia regola l’applicazione dello smart working nelle differenti realtà aziendali – il lavoro intelligente porta con sé anche un aumento dei livelli di competitività delle organizzazioni che decidono di implementarlo. Anche in questo caso, quindi, sembra essere l’inadeguatezza della cultura aziendale e delle strategie di HR management non allineate alle trasformazioni in atto il vero freno che limita – e talvolta soffoca sul nascere – i vantaggi e la crescita connessi alla flessibilità.

Riscoprirsi artefici del proprio destino lavorativo

Una ricerca svolta nel maggio di quest’anno da Gallup negli Stati Uniti ha approfondito gli aspetti del cambiamento culturale che lo smart working porta con sé, rilevando la diffusione tra le aziende di un nuovo mindset che riguarda tutti i livelli delle organizzazioni, management compreso. Come si intuisce dall’eloquente titolo del report – The end of the traditional manager – l’affermarsi di tempi e luoghi di lavoro flessibili, del lavoro da remoto e della logica di progetto richiede a ciascun lavoratore di trasformarsi nel “capo di se stesso”, contribuendo così alla nascita di nuove aspettative nei confronti dei dirigenti, che devono dimostrarsi aperti al confronto, disposti a delegare, convinti sostenitori di autonomia, flessibilità e partecipazione.

Questi cambiamenti culturali e organizzativi, quindi, si sommano ai risvolti positivi in materia di benessere individuale, stimolando l’innovazione e orientando al risultato, generando risparmi per i dipendenti, promuovendo gli investimenti in formazione e digitalizzazione, e garantendo un supporto fondamentale alle strategie di talent attraction e talent retention.

Lo smart working è proprio per tutti?

A questo punto è inevitabile porsi una domanda: il lavoro flessibile e intelligente è davvero realizzabile per tutti, indipendentemente dalle dimensioni dell’impresa e dal settore in cui si opera? “Lo smart working per tutti è sicuramente un segnale importante da trasmettere” ha affermato Emanuele, “poiché si tratta, come abbiamo visto, di un nuovo mindset aziendale, una nuova cultura, un nuovo modello organizzativo che deve essere patrimonio comune all’interno dell’organizzazione per poter promuovere nei fatti l’autoconsapevolezza e la responsabilizzazione diffuse. Per raggiungere questo obiettivo è fondamentale innanzitutto coinvolgere il management nel progetto, e prestare attenzione allo sviluppo di skill come gestione del tempo, proattività e comunicazione empatica. Nel caso di funzioni aziendali caratterizzate da una presenza fisica forte” ha aggiunto Emanuele, “un’attenta analisi del ruolo e delle mansioni ricoperte può permettere l’individuazione di attività remotizzabili, rendendo così lo smart working davvero a portata di tutti“.

Resta il fatto che – almeno per il momento – realtà come PMI e Pubblica Amministrazione stanno ancora arrancando sulla strada della trasformazione, benché si registri un trend di crescita – anche grazie alle “spinte normative” rappresentate dalla già citata legge 81 e, per la PA, dalla legge Madia – e inizino a comparire i primi casi di successo, uno fra tutti quello del Comune di Bergamo, che ha introdotto il lavoro da remoto per una parte dei dipendenti dell’ufficio anagrafe, rendendo al contempo più accessibili ai cittadini i relativi servizi grazie all’installazione, in punti strategici della città, di totem interattivi.

I luoghi del lavoro intelligente: dai business center al nomadismo digitale

Abbiamo esordito sostenendo che fare smart working non significa esclusivamente lavorare da casa: quali sono, allora, i luoghi che possono accogliere questa nuova modalità di lavoro? Qualche suggerimento è arrivato da Michele Barberi (Copernico Business Center) e Federica Bulega (Ninja Academy), che hanno presentato la loro personale esperienza in materia di ripensamento degli spazi in cuiMichele_Barberi_smart_working svolgere le proprie attività quotidiane.

Partiamo dalla storia dei business center Copernico, nati a Milano ma ormai diffusi in diverse città italiane. “La vision di partenza è stata quella di cambiare il modo in cui le persone lavorano, costruendo una sorta di ‘cattedrale dell’innovazione‘, una piazza, un’agorà, un luogo di aggregazione per persone accomunate da un mindset simile, che porta a interpretare il lavoro come socialità, luogo e occasione per stare bene e creare relazioni, stimolando il networking e la crescita professionale” ha raccontato Michele. È nata così una rete di spazi di lavoro innovativi e interconnessi, progettati e a volte ridefiniti in base alle esigenze manifestate dai membri della community. “Con social floor e spazi pensati per l’accoglienza, l’incontro, il dialogo e lo scambio, il lavoro stesso acquisisce un nuovo significato e un nuovo valore” ha proseguito Michele. “Ci piace pensare che gli uffici di Copernico possano diventare per le aziende una sorta di banda larga del sistema Italia, contribuendo a diffondere il modello di ufficio flessibile as a service non solo tra giovani e startup, ma anche tra realtà aziendali di grandi dimensioni“.

Federica_Bulega_smart_workingMa questa non è l’unica soluzione per chi voglia cimentarsi con lo smart working senza chiudersi in casa: è possibile anche prendere ispirazione dai nomadi digitali, oltrepassando ampiamente le pareti di qualsiasi edificio e arrivando a lavorare, giusto per fare un esempio, in spiaggia. È successo anche questo durante le Nomad Weeks di Ninja Academy, due settimane in cui tutti i dipendenti hanno avuto la possibilità di scegliere il luogo in cui lavorare, a patto di assicurare la propria disponibilità e una connessione a internet stabile per le consuete otto ore lavorative. “Questo esperimento, lanciato dal nostro founder e CEO Mirko Pallera in occasione del suo compleanno” ha raccontato Federica “ha registrato livelli molto alti di soddisfazione tra i partecipanti (88%), tutti unanimemente decisi a ripetere questa esperienza“. Comunicazione, self-management e lifelong learning sono state le soft skill chiave per far funzionare il progetto. “Tra i vantaggi segnalati da chi ha partecipato alle Nomad Weeks troviamo flessibilità, autonomia, work-life balance e reimpiego produttivo del tempo solitamente destinato agli spostamenti” ha spiegato Federica. “I punti più critici sono stati invece la mancanza di socialità e l’inapplicabilità del progetto ad alcune posizioni lavorative. I dipendenti hanno inoltre dichiarato di essersi sentiti più motivati, concentrati, responsabili, felici e puntuali, e messi nelle migliori condizioni per recuperare i task in sospeso. Quello che ci auguriamo per il futuro” ha concluso Federica “è di vedere il modello delle nostre Nomad Weeks diffuso e applicato in tutte le aziende italiane“.

Le ombre dello smart working

Abbiamo ampiamente enumerato e illustrato i vantaggi connessi allo smart working ma, come evidenziato anche dagli interventi del pubblico nel corso del workshop, non mancano zone grigie o punti ciechi che richiedono miglioramenti e affinamenti della pratica, nonché una conoscenza più diffusa e una maggiore consapevolezza sul tema da parte di tutti i soggetti interessati. Spesso, per esempio, si paventa il rischio che lo smart working possa trasformarsi in uno strumento per far lavorare di più i dipendenti, paura del tutto infondata poiché, qualsiasi sia la modalità di lavoro prescelta, il monte ore per lo svolgimento delle attività resta quello definito dal contratto. Altra questione ampiamente dibattuta è quella che riguarda la produttività: “Non possiamo stabilire in modo assolutamente certo e oggettivo se davvero, quando si adotta lo smart working, i dipendenti siano più produttivi, in quanto ogni stima a tal proposito si basa su un’autovalutazione espressa dal lavoratore stesso” ha precisato Emanuele Lazzarini. “Quello che è certo è che aumenta la disponibilità dei collaboratori nei confronti dell’azienda“.

Al netto di tutte queste considerazioni, per realizzare con successo un progetto di smart working è fondamentale avere ben chiara la direzione da seguire e gli obiettivi da raggiungere: solo così il lavoro intelligente potrà esprimere compiutamente le sue potenzialità di catalizzatore di un’evoluzione tecnologica, organizzativa e culturale di vastissima portata.

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