Lavoro smart o da remoto, collaborazione, motivazione, comunicazione interna, digital transformation, digital optimization… In questo periodo abbiamo avuto modo e occasione di riflettere e interrogarci su questi e altri aspetti che riguardano la nostra esperienza lavorativa, raggiungendo una maggiore e più chiara comprensione di quanto e come tali concetti trovino effettiva realizzazione nelle aziende italiane.
Al netto delle varie differenze rintracciabili in tal senso tra le organizzazioni, per tutte vale la consapevolezza di aver raggiunto un punto di non ritorno in materia di rinnovamento e ripensamento delle attività e delle strategie di people management. Fabrizio Armenia, HR Director di Inaz, ci ha aiutati a fare il punto della situazione.
Queste settimane di distanziamento sociale ci hanno fatto vivere le attività e le relazioni lavorative in modo diverso rispetto al solito. Quali impatti a breve e medio termine si registreranno su process e people management?
«La pandemia ha costretto le aziende ad agire su due fronti: far lavorare in sicurezza coloro per i quali la presenza nelle sedi fisiche era necessaria (quindi rivoluzionando turni, orari, postazioni, gestione dei dispositivi di protezione individuale e misurazione della temperatura) e organizzare velocemente il lavoro a distanza per il personale degli uffici. Per quanto riguarda questi ultimi, il Covid-19 ha accelerato un processo che avrebbe forse richiesto anni: secondo il Politecnico di Milano, in Italia siamo passati in poche settimane da 500 mila a 8 milioni di lavoratori a distanza. Non parlo di smart working proprio perché nella maggior parte dei casi sono stati mantenuti orari e modalità organizzative tradizionali, pur con l’adozione di nuovi strumenti digitali che consentono di lavorare da remoto. La sfida davanti alla quale ci troviamo ora è proprio questa: trasformare il lavoro a distanza in smart working e aumentare la flessibilità e la reattività dell’organizzazione quando si tratta di gestire le persone nelle sedi».
Il futuro del lavoro richiederà probabilmente un rinnovato approccio a ruoli e compiti lavorativi, caratterizzato da maggiore autonomia, responsabilità diffusa, flessibilità e fiducia. Dal vostro punto di vista le aziende italiane sono pronte per un simile cambiamento? Quali potrebbero essere i principali ostacoli?
«Questo è un punto fondamentale: dobbiamo interpretare il cambiamento in modo strategico e dotarci di un assetto pronto a rispondere agli shock e alle trasformazioni improvvise. Lo smart working, soprattutto, non è mero lavoro a distanza ma presuppone un diverso assetto, adeguamento dei contratti, un nuovo modo di gestire il tempo da parte del lavoratore basato su fiducia, delega, autonomia e lavoro per obiettivi. Ma lo smart working non sarà per tutti: molte famiglie professionali continueranno a fare telelavoro – ambito comunque migliorabile in molti aspetti con l’adozione di tool digitali avanzati. Da questo emerge l’importanza di un cambiamento culturale, del quale le imprese italiane cominciano ora a rendersi conto: occorre riconoscere l’importanza dell’assessment organizzativo che individua quale modalità di lavoro è più adatta ai vari ruoli e mansioni».
Su quali aspetti e iniziative occorre puntare per rendere possibile anche un “remote engagement”?
«Il tema dell’engagement è sempre stato centrale nella gestione dei collaboratori, in quanto richiede al management di attivare il loro lato emotivo ed empatico per motivarli. Avere i collaboratori a distanza rende più complessa la loro gestione, perché vengono meno le tradizionali leve “empatiche” di indirizzo dei team date dalla prossimità. Ecco che allora i manager, per rendere possibile il “remote engagement”, dovranno essere chiari e precisi definendo regole di ingaggio condivise, sviluppare il senso di responsabilità dei propri collaboratori assegnando obiettivi misurabili e creare un senso di prossimità virtuale».
A livello tecnologico e strategico cosa non può mancare in un’autentica collaborative company?
«Occorre puntare su strumenti orientati a fornire una user experience completa e friendly, strumenti collaborativi che ricordino per esempio le logiche dei social network (che ormai sono familiari alla stragrande maggioranza dei collaboratori) e basati sul cloud, in una logica di informazioni sempre disponibili quando servono e accessibili con ogni device. Ma, allo stesso tempo, devono essere anche strumenti sicuri e che garantiscano la protezione della privacy e la GDPR compliance, quindi tool sviluppati da specialisti nella gestione dei dati delle HR».
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