Centralità e felicità delle persone: pronti a cambiare?

Risposta all'emergenza o cambiamento irreversibile? Dopo le sperimentazioni forzate, le aziende hanno ora la possibilità di continuare a promuovere centralità e felicità delle personeDopo il radicale e repentino ripensamento delle modalità di lavoro che ha interessato l’intero territorio nazionale, nei prossimi mesi sarà interessante osservare per quante aziende questo cambiamento non si rivelerà un mero palliativo da abbandonare non appena l’emergenza sarà solo un ricordo.

Sarà la cultura aziendale a fare la differenza in tal senso: tutte le organizzazioni che stavano già sperimentando nuove modalità per valorizzare la centralità delle persone, accogliere le loro esigenze e i loro bisogni, contribuire alla loro felicità e soddisfazione non avranno grossi problemi a mantenere lo smart working come acquisizione definitiva anche in futuro.

Tra queste aziende c’è Zeta Service che – forte di una politica di welfare aziendale che le ha permesso di adattarsi e gestire il cambiamento – dopo aver affrontato lockdown e fase 2 mantenendo i lavoratori motivati e coinvolti, punta ora a fare tesoro di questa esperienza progettando una work experience sempre più flessibile e smart.

«Quando ho deciso di far lavorare tutti da casa, in cuor mio avevo il timore che questo smart working di massa non funzionasse» ha raccontato Silvia Bolzoni, CEO & founder di Zeta Service. «È un timore che ho sempre avuto: prima della pandemia, infatti, il lavoro da casa si limitava a due giorni al mese (a meno che non ci fossero bimbi o genitori da accudire) per un certo numero di persone in ciascun team. Dopo questo esperimento dovrò sicuramente rivedere il regolamento dando maggiore flessibilità, perché i miei collaboratori hanno dimostrato responsabilità, coesione e lavoro di squadra. In futuro avremo sicuramente un nuovo modo di intendere l’orario di lavoro, la presenza in ufficio non sarà sempre necessaria, ci sarà libertà nell’organizzare le proprie giornate, conterà sempre di più il risultato e la qualità del lavoro, non il tempo trascorso in ufficio».

Durante l’emergenza sanitaria l’azienda ha inoltre fatto in modo che tutti i collaboratori potessero avere un supporto economico, mantenendo i ticket restaurant – benché non fossero legalmente dovuti per il lavoro da casa – e anticipando la quattordicesima ad aprile. Ha poi fornito un costante supporto psicologico attraverso webinar dedicati al coraggio e alla paura e uno psicologo aziendale a disposizione dei collaboratori.

Chi ha paura dello smart working?

Non tutte le aziende italiane, però, sono propense a proseguire con lo smart working. Tra le principali paure c’è quella di non riuscire a gestire i dipendenti, e che questi ultimi non riescano a coordinarsi tra loro. Lato dipendenti, invece, le principali riserve sono collegate al fatto di dover utilizzare i propri dispositivi e di non riuscire a veder rispettato il diritto alla disconnessione.

«Questi sono timori fondati, ma credo che l’esperienza che abbiamo vissuto ci abbia già messo davanti un grande esperimento e ci abbia dato anche occasione di prendere le misure con la nuova situazione lavorativa in modo molto efficace e veloce» ha commentato Silvia Bolzoni. «Credo inoltre di aver compreso come non si debba mai dire “Non si può fare”: tutto si può fare con la collaborazione delle proprie persone. Certo, la fiducia reciproca è imprescindibile, ma questa non deve mancare in generale in nessuna relazione lavorativa. La realtà sta mettendo davanti ai nostri occhi la possibilità di cambiare e di evolvere, e credo che opporre resistenza sia dannoso. Molto meglio gestire il cambiamento e adattarlo ai propri desideri. Stiamo tutti cambiando pelle e vedo in questo la possibilità di nuove scoperte e nuovi obiettivi da raggiungere».

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