Il lavoro da remoto “è qui per restare”, per usare il calco di un’espressione inglese sempre più diffuso anche da noi. Basti pensare che Google, multinazionale con una popolazione aziendale di 200mila persone nel mondo, ha annunciato che i suoi dipendenti potranno lavorare da casa fino a luglio 2021. Twitter aveva già stabilito lo scorso maggio che i suoi dipendenti, se lo vorranno, potranno lavorare da casa “per sempre”. Certo, dalle aziende della Silicon Valley possiamo aspettarci questo genere di decisioni forti, rese possibili da strumenti, infrastrutture e un tipo di cultura difficilmente replicabili in altri contesti.
L’esempio di Google e Twitter non è replicabile nella stragrande maggioranza delle imprese italiane, spesso nemmeno in quelle che operano nei settori e nei contesti più innovativi. Ma si tratta di segnali molto importanti sulla direzione in cui ci muoveremo nel corso dei prossimi mesi e anni. Non solo con il Covid-19 dovremo convivere per un bel po’ (e quindi il distanziamento sociale, luoghi di lavoro compresi, continuerà a essere una necessità); ma bisogna considerare anche che il lavoro da remoto, quando ben gestito e organizzato, in questi mesi è stato accolto positivamente dalla maggior parte dei lavoratori italiani, ben disposti (specialmente nei contesti che in qualche modo erano già preparati e orientati a percorrere questa strada) a continuare a cogliere i vantaggi di questa modalità. Integrandola, quindi, in un graduale ritorno alla normalità che abbandona il lavoro da casa 24/7 dettato dall’emergenza, per mixare le due formule – da remoto e in presenza – in un’ottica che si possa definire realmente “smart”.
Dall’home working allo smart working
Del resto abbiamo visto che le modalità di lavoro da casa, rispetto alle settimane del lockdown, sono già cambiate, e di molto. Quello dell’emergenza è stato un momento “acuto”, caratterizzato da una serie di situazioni eccezionali: le persone erano sempre in casa, sempre connesse (al netto delle difficoltà legate all’uso simultaneo delle connessioni casalinghe da parte di più membri della famiglia), raggiungibili e disponibili a qualunque ora. Avevano quindi la possibilità di spalmare il lavoro su un orario più dilatato del normale e avevano pochi impegni esterni e distrazioni – al netto, naturalmente, delle forti preoccupazioni e delle difficoltà nel gestire i carichi familiari nel contesto di emergenza.
Con la “Fase 2”, la “Fase 3” e il graduale ritorno alla normalità, con gli spostamenti, le riaperture e la ripresa delle varie attività, la situazione si è evoluta. La vita extra-lavorativa (in termini di cura della famiglia, socialità, tempo libero) è tornata a reclamare i suoi spazi, e non è immaginabile che un dipendente sia sempre e immediatamente disponibile in qualsiasi momento della giornata. È già emersa, quindi, una delle necessità che caratterizzano quello che chiamiamo smart working: un’organizzazione del tempo flessibile ed efficace, che lascia ampi spazi di autonomia al lavoratore ma che ha comunque bisogno di pianificazione e organizzazione, in particolar modo quando si lavora in team.
Le difficoltà connesse al lavoro agile
Questo nuovo modo di gestire il tempo coglie impreparati numerosi lavoratori che non erano mai stati smart workers: sono in difficoltà davanti alle numerose distrazioni, non hanno ancora imparato a gestire le interruzioni, trovano difficoltà a concentrarsi o a interfacciarsi con i colleghi da remoto o, ancora, rischiano di non staccare mai dal lavoro, con conseguente pericolo di trovarsi sul lungo periodo senza energie. Anche i responsabili e i coordinatori di team, non abituati a gestire le persone a distanza, possono essere in difficoltà nell’organizzare, nell’individuare obiettivi, nel misurare i risultati.
La mancanza di una socialità condivisa in azienda rappresenta un ulteriore ostacolo: non è solo un problema di comunicazione, ma anche di fidelizzazione delle persone, perché si allenta il senso di appartenenza. Senza il confronto diretto e lo scambio con i colleghi – fosse solo per qualche battuta davanti alla macchinetta del caffè – è facile sentirsi disorientati, scollegati dall’organizzazione, dunque meno motivati e produttivi.
HR manager, è tempo di farsi avanti
Di fronte a queste problematiche la funzione HR ha un ruolo di grandissima importanza. Ce l’ha per quanto riguarda gli aspetti che possiamo definire “hard” e che vanno dalla dotazione degli strumenti abilitanti per tutti i lavoratori, fino alla definizione di modalità di lavoro, gestione del tempo, comunicazione e report dei risultati da concordare sia con i dipendenti sia con i loro responsabili.
E ce l’ha anche per quanto riguarda la sfera “soft”, quella che ruota attorno alla motivazione delle persone, alle dinamiche di condivisione e collaborazione, al benessere dei dipendenti in generale. In tutti gli ambiti chi si occupa di personale è chiamato a sperimentare soluzioni nuove, con una grandissima attenzione alla formazione, al coaching e alla verifica del livello di engagement di dipendenti e collaboratori.
Il tutto con un occhio particolare a chi presenta le situazioni più delicate – per esempio quelle dei genitori di bambini piccoli che possono trovarsi senza supporti esterni nella cura dei figli, oppure quelle di chi deve gestire familiari con fragilità.
Costruire organizzazioni flessibili, resilienti ma anche reattive di fronte ai cambiamenti diventa sempre più importante. E la funzione HR assume sempre di più un ruolo da protagonista nel valorizzare l’asset centrale di qualsiasi azienda, cioè le sue persone.
Fabrizio Armenia
Direttore HR di Inaz
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